Il prossimo Michael Jordan

27 Gennaio 2015 di Simone Basso

Era Ferragosto e si correva il Giro di Norvegia femminile. Anton Vos cattura Marianne, la sorella campionissima, dopo lo sforzo del prologo appena vinto: è un’immagine straordinaria, difatti è stata premiata dalle agenzie specializzate, che va oltre lo scenario di una corsa ciclistica. Poiché racconta il mondo, nella sua complessità, e le donne. (Foto tratta da Procycling.no).

A osservare l’Italia dalla postazione privilegiata dell’Eurolega, la Serie A è una realtà remota. Se appena dieci anni fa, quella che fu la Spaghetti League era poco sotto l’Acb e un pò sopra l’A1 Ethniki, ricordiamo – in pieni Ottanta – L’Equipe titolare “Arrivano i marziani” nel presentare una sfida di Coppa a una delle nostre portaerei. Dopo la caduta rovinosa della Mens Sana, l’unico atollo con una dimensione europea è rimasto quello milanese. I distinguo sono doverosi, perchè senza il seppuku di gara1 dello scorso anno, contro il Maccabi, quando buttarono alle ortiche dodici punti di vantaggio in due minuti e mezzo, parleremmo magari di una squadra con prospettive differenti. Però questa stagione, durante alcune partite, sono emersi impietosamente i difetti dell’Armani. Un combo di buon livello, comunque non da Prime Quattro, che manca di continuità, prestanza fisica e versatilità tattica. Langford e Jerrells non sono stati rimpiazzati e il trio Gentile-Hackett-Brooks pare condurre troppe volte l’Olimpia sui sentieri (impervi) dell’Hero Basketball. Che scarnifica gli attacchi, riducendoli a isolamenti e a pick and roll sterili, togliendo fluidità al gioco. Ancor più impressionante constatare l’inadeguatezza tecnica di Sassari, l’altra rappresentante tricolore: un collettivo che non apparteneva – per chassis (e dimensione finanziaria..) – alla massima competizione continentale.

Il giochino è sadico, ma la presenza di Sacchetti come allenatore richiama il Sacchetti giocatore. Facendo un salto nel tempo, all’indietro, di trent’anni ricollochiamo Meo nel basket di allora. Un fuoriclasse, guardia-ala tuttofare che gli americani definirebbero Two Way. Nell’estate del 1984 Sacchetti lasciò Torino e si accasò a Varese: a posteriori, una scelta affrettata. Ebbene, in una Berloni che era arrivata troppe volte a un passo dal Grande Ballo, Dido Guerrieri – con il compito (societario) di inserire piano piano la linea verde – realizzò un capolavoro. C’erano il QI notevolissimo di Caglieris, ma al caffè della carriera, il lavoro quantitativo di Vecchiato e la gioventù di Morandotti (che mostrava un potenziale che mai si avvererà..). Della Valle, atipico che Guerrieri utilizzava al meglio, un imberbe Pessina (che agitava l’asciugamano…) e – tra gli italiani – poco altro. Gli stranieri erano Gibson, bravo sotto le plance ma lungo sotto media se paragonato a quel che girava nell’evo, e Scott May.

Quest’ultimo è l’esempio perfetto per sottolineare il trentennio di scarto: Giocatore dell’Anno e campione Ncaa 1976, a Indiana, ultima squadra imbattuta in un’intera annata; oro olimpico a Montreal, seconda scelta assoluta (dei Bulls) e primo quintetto All-Rookie Nba. Senza una lesione al ginocchio avrebbe giocato contro i vari Erving, Dantley, Marques Johnson, King, almeno una dozzina di anni… Invece venne qui (dall’altra parte dell’Atlantico non c’erano trenta franchigie), forse oggi finirebbe al Cska o al Real Madrid. Ala piccola, micidiale nell’uno contro uno, rimbalzista, difensore, collante: un mostro. Che giocava in una formazione di medio livello, mica nelle corazzate come il Simac, la Granarolo o il BancoRoma. Eppure quell’anno la Berloni sorprese: nei quarti eliminò Cantù e in semi affrontò, vendendo cara la pelle, la Milano di Peterson. Due gare sul filo, il particolar modo la seconda, con Guerrieri che mise in crisi D’Antoni e il Nano Ghiacciato con una box and one d’autore (e “Dimitris” Della Valle a uomo su Arsenio Lupin). Fu la coperta corta dell’Auxilium, cioè la panchina scarna, a permettere il passaggio del turno allo squadrone di Meneghin: ciliegina sulla torta Geibì Carroll (36 punti quel dì), tanto per rimarcare le differenze tra il 1985 e oggi. Immaginiamo adesso un DeMarcus Cousins, che nel 2015 è un corrispettivo nel ruolo a quel Joe Barry, che firma con l’Armani dopo aver rotto le trattative coi Kings… Fantascienza. I paragoni sono sempre azzardati: la pallacanestro moderna necessita del platoon system, ai tempi le rotazioni erano minimali, e le difese si devono adeguare ad attacchi con più ribaltamenti di lato. Però, se confrontiamo il nucleo di quella Berloni, una del mucchio selvaggio e non nell’elite, che aveva perso uno dei migliori cestisti tricolori, personale e allenatore ci sembrano più qualitativi rispetto all’Olimpia odierna. Addirittura alcune squadre dell’A2 d’antan – la Cidneo di Pietkiewicz, Costa e Solfrini o la Glaxo che vinse la Coppa Italia – non sfigurerebbero affatto…  Non è colpa di Banchi, è la Serie A che è diventata una minor league invernale. Al di là del campanile e dell’abitudine, ci spiegate perchè – con la possibilità di vedere un Warriors-Grizzlies alla tivù – un appassionato debba privilegiare la visione di un campionato di seconda (o terza) categoria?

Metti una domenica televisiva con l’Eiger come panorama. Il Lauberhorn, una galleria a cielo aperto e le sequenze che sembrano quadri Divisionistiì. L’Hundschopf in mezzo alle rocce, la Minschkante che svolta nella stradina. Wasserstation, gli uomini jet passano a cento orari sotto un ponte… Se poi, per un attimo, si sospendono le osservazioni agonistiche (Reichelt la vince sulla Ziel-S, anticipando la preparazione della serpentina senza smarrire il doppio binario), potremmo riflettere perchè una delle località invernali più famose del mondo non venga collegata da una strada (asfaltata) bensì da un treno. Roba che a un italiano viene un coccolone solo a pensarci. E la superstrada che sventra la montagna dove la mettiamo? Nel frattempo, con i mammasantissima già scesi, c’è un inconveniente che ferma la gara per mezz’ora. Allora si fa zapping, per ammazzare il tempo (si dice così, ma è lui che ci uccide), e si casca trenta secondi trenta sul canale bordone delle notizie sportive.

C’è un tizio con la barbetta che parla della soma più somministrata al teleutente pallonaio. Il motto? La pasta scotta si dà ai cani, il calciomercato ai cristiani. Propinano al tifoso tossicodipendente una fiction, comprendendo nel pacco i toni da Minculpop degli inviati – fidelizzati – dal centro sportivo di turno. Hai voglia con la storiella dell’esperanto universale: conta solo l’esposizione, l’adescamento dei clienti, per qualunque prodotto (…) bello o brutto che sia. Tanto, comunque vada, non essendo culturalmente preparati (o almeno onnivori), non proverebbero emozioni persino davanti agli ultimi tre minuti regolamentari, pazzeschi, indescrivibili, della finale Nfc tra Seahawks e Packers. Torniamo all’esperto di mercato, il nostro racconta di un calciatore italiano che si è accordato – per una cifra da caviale e champagne a colazione – con una squadra nordamericana di soccer. Dice che gli ammerigani sono bravi a vendere lo spettacolo e che, in quota Mls, Sebastian Giovinco sarà il prossimo Michael Jordan. Appena captata la frase, basiti, torniamo a Wengen e a quel paesaggio di Segantini. Con in testa una canzone interpretata da Alberto Sordi.

Non credo che alcun sistema filosofico riuscirà mai a sopprimere la schiavitù: tutt’al più ne muterà il nome. Si possono immaginare forme di schiavitù peggiori delle nostre, perchè più insidiose: sia che si riesca a trasformare gli uomini in macchine stupide e appagate, che si credono libere mentre sono asservite, sia che si imprima in loro una passione forsennata per il lavoro, divorante quanto quella della guerra presso le razze barbare, tale da escludere gli svaghi, i piaceri umani“. (Marguerite Yourcenar)

Simone Basso, in esclusiva per Indiscreto

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