Imitazione Gentile

12 Gennaio 2015 di Oscar Eleni

Oscar Eleni che, purtroppo, non è Charlie anche se piangerà per sempre questi artisti, aggrappato ad un pino di mare nell’isola che non c’è, riscoprendo la rabbia e l’arguzia di Alberto Bucci su RTV San Marino, masticando foglie di menta quando l’ex allenatore delle Virtus Bologna stellata, lo “sfortunato” e incauto nocchiero della Forlì presa in giro, ritirata, ci ha chiesto se saremmo stati in tribuna per la partita delle stelle, stelline. Lui pensava che si giocasse a Desio. No. Ha sbagliato. È la sua Verona, un altro posto, come del resto Livorno che ritroviamo in testa nel campionato dove Siena ha perso la prima partita in casa, importante per il dottor dottor Stranamore che nel 1991, con Schoene nel motore, vinse addirittura la coppa Italia beffando, ancora una volta, la Milano che gli sarà sempre indigesta per quel finale del 1989 con la squadra dei Mori, del Carera, del Forti, del Tonut, del Fantozzi, dei D’Alesio, la famosa notte del “canestro l’era bono” per tutta una città, meno che per i tifosi della Portuale come Allegri juventino e, naturalmente, per gli arbitri.

Lui ci ha parlato di rincoglionimento, come poi ha ripetuto nella bella trasmissione Pick and roll, titolo da stranguglioni perché il basket è stato schiavizzato da questa logica tecnica che imbruttisce e banalizza tutto, ma è perdonato. Fate un conticino sui tiri da tre dell’ultima giornata. Da vergognarsi. Lo facciamoi noi mentre gli allenatori cercano scuse banali. Lo fanno non perché combattono una dura battaglia per restare in questa parte del campo, ma perché entriamo nella settimana di sosta per buttare stelline nel piatto dove devono galleggiare in un brodo fatto con gli stracci e non certo di pollo o di carne pregiata. Si gioca a Verona, prima nel campionato Gold. Una Lega attenta ci avrebbe pensato e coinvolto nella “festa” tutto il basket, come ha scritto giustamente Guerini su Tuttosport. Niente. Questa volta non c’è neppure la nazionale d’inverno dove, ogni tanto, scoprivamo tesoretto nascosti.

L’ultimo il maggiore dei Gentile che ci sta facendo venire il nervoso perché invece di camminare lungo un sentiero assolato, quello dei registi che sanno far giocare gli altri, che vivono per gli altri, lui aveva queste qualità, si sta invece inaridendo per imitare il fratello campione Alessandro, l’uomo che illumina, secondo molti, ma non tutti, l’Emporio che lo ha scelto come capitano, come simbolo, uno che ha già scritto un libro sulla sua carriera sbalordendo i tanti capitani che lo hanno preceduto e che adesso non hanno neppure una sedia riservata al Forum dei record. Non avevamo bisogno del doppione. C’era, c’è ancora la necessità che ritrovi un senso del gioco, anche se adesso ci sono gli innamorati pazzi per il genio del Luca Vitali risorto con la cura Pianigiani e risistemato in un posto importante da Pancotto a Cremona. Insomma non vorremmo più sentire Stefano dei Gentile dire alla fine di una partita perduta che la sua Cantù si è bloccata perché gli avversari le hanno impedito di pensare. Eh no. Ma è il mal della pietra di questo basket sfortunato che sbaglia quasi tutti gli accoppiamenti difensivi e le scelte propositive.

Ora sarà un altro caso provocato dal famoso bayon ma l’ultima del girone di andata, quella che ci avrebbe dato il tabellone per la finale di coppa Italia a Desio, a che ora hanno piazzato la partita che avrebbe potuto essere la chiave di tutto, prendendo a calci anche la regola della contemporaneità per non favorire nessuno, salvo le becera programmazione televisiva? Ovviamente alle 20.30, nella regione dove, sempre per caso, si sarebbe giocata una non insignificante sfida calcistica fra Napoli e Juventus. Risultato? Della partita ad Avellino si sono preoccupati soltanto a Varese dove aspettano Eric Maynor, giocatore NBA, 5 stagioni, ma fermo da 10 mesi, e si sono domandati se Robinson era davvero da licenziare. Tribune vuote, spettacolo desolante. La squadra di Vitucci è uscita fra i fischi.

Siamo purtroppo entrati nella fase del basket che mangia se stesso: non ci si affeziona più ai giocatori perché le società sono alberghi dove si cambia volentieri il personale più che la biancheria, in questo modo diventa facile prenderli come bersagli, insultarli, fischiarli. Sono usciti insultati anche i giocatori di Brindisi che hanno fatto infuriare il loro presidente, lasciandolo nell’amarezza proprio nella settimana in cui, come capo della lega con la gotta che prende i piedi del sistema, ma anche il centro operativo, voleva godersi la dirette RAI in attesa che SKY si rimetta in moto per il basket abbandonato quando l’invidia aveva fatto cadere ogni vergogna. A Pesaro si sono sfogati lordando la sede come se davvero la posizione della squadra che Dell’Agnello deve salvare fosse nata per mancanza d’impegno. No. Non speravamo che andassse proprio così, ma ce la siamo tirata. I giocatori che non riesci ad amare ti spingono a trovare sollievo nell’insulto, nell’abiura, nel distacco, sopportando male tutto questo cinema inferno che ci siamo inventati da soli nella povertà.

Basterebbero i pienoni delle serie minori, in sedi storiche, l’ultimo a Reggio Calabria per la visita della Treviso che vola e torna a vincere, per far capire come stanno le cose. Sarebbe facile comprendere tutto, persino in Federazione e in Lega se riuscissero decodificare l’annuncio della Fossa Fortitudo per il derby giovanile del 2 febbraio al Pala Dozza, invaso nel fine settimana dalle belle tribù della pallavolo, un evento che la nostalgia vuole riproporre come accadeva nei giorni in cui basket city era una meraviglia, l’incanto,la terra porelliana del “noi siamo noi”, quella del duello mai concluso fra la genialità di Cazzola e l’ideale principesco di Seragnoli.

Pagelle alla fonte dei ricordi, nella disperazione di giornate diventate radiose soltanto nella marcia dei due milioni che a Parigi gridavano libertà, quella che viene negata a chi non può difendersi, quella che non si ottiene senza sacrificare se stessi, quella che servirebbe anche nell’associazionismo sportivo dove, invece, si avanza per divieti, un integralismo che ci sta portando alla deriva e non soltanto tecnica, anche se fra poco avremo su SKY una televisione prodotta dalla federbasket.

MILANO 6.5 – Non aveva necessità di essere già padrona di tutto mentre il cantiere preparava il vero impegno, quello che purtroppo sembra già andato male, cioè l’eurolega dove Giorgio Armani ha giustamente il diritto di esserci come protagonista e non soltanto come sponsor dell’organizzazione di Bertomeu che cura tutto, ma continua a trascurare la qualità degli arbitri se si fida delle raccomandazioni delle federazioni. Il migliore: Moss perché incarna la vera mentalità dell’allenatore. Il peggiore: Kleiza, convinto che basti il sorriso da tre palle un soldo.

SASSARI 6.5 – Voti recuperati nel finale dell’andata quando ha dovuto rimediare a tanti infortuni. In eurolega ci ha fatto venire il nervoso. Dire è bello ciò che piace sembra una scorciatoia per inferni. Il più: Brooks, peccato per la pleurite. Il meno: non essere riusciti a tenere Cusin.

REGGIO EMILIA 7 – La squadra che ci ha divertito davvero, ha messo in circolo qualcosa che resterà nel tempo. Italiani e ragazzi come Silins cresciuti in casa. Ha dovuto ricominciare tre volte, ma ha tutto per arrivare lontano e speriamo che giochi i play off in piazza Azzarita negando qualsiasi biglietto di favore ai politici della sua città. Il meglio: Cinciarini perché ci piace la gente che non chiede mai di essere giustificata se sbaglia, anche in nome del collettivo. Il peggio: il Taylor che non riconfermato resterà un tarlo fino alla fine.

VENEZIA 7 – Ha fatto di tutto e anche più di quello che aveva. Una magia di Micione Charlie Recalcati. Ora il pericolo è trovarsi con la gente ubriaca e la botte mezza piena. Il meglio: Peric, magari i nostri facessero progressi come questo caparbio maestro intagliatore. Il peggio: vedere la gloriosa Reyer sacrificata nel Taliercio.

BRINDISI 6.5 – Quando aveva trovato il vero centro di gravità si è rotta. Nella ricostruzione tutto bene fino al pasticcio dell’ultima in casa. Il meglio: la forza mentale del Piero Bucchi che non cede, non si arrende anche davanti a certi lavativi. Il peggio: un palazzo inadeguato alle voglie e alle speranze della città.

TRENTO 8 – La vera grande rivelazione della stagione. Tutto nuovo, tutto bello. Società, squadra, ambiente. Teniamoceli cari e chi ha l’umiltà per capire sa quale può essere la strada. Il meglio: scegliamo Pascolo perché vorremmo che a fine stagione facesse davvero venire il mal di testa al Pianigiani dal fegato tormentato perché ogni giorno dalla NBA segnalano bandiere a mezz’asta per gli italiani del suo sogno. Il peggio: l’ultima rabbia dello Spangaro che sta facendo una bella stagione. Stare nella cesta avrebbe detto Radice.

CREMONA 8 – Per Joyce Pancotto, a lui piacevano i bar triestini dove scrivevano poesia, che sta facendo un nuovo capolavoro. Il meglio: Luca Vitali a furor di popolo, anche se sappiamo che incensarlo troppo può diventare pericoloso. Il peggio: avere paura di svegliarsi. Non è un sogno. Tutto è reale se società e tecnico lavorano insieme.

AVELLINO 5.5 – Saranno le immagini desolanti dell’ultima persa con Varese, sarà il vuoto delle tribune. Certo essere nelle prime otto vale, ma poi non si deve volar via come una squadretta dispettosa che si taglia da sola i ponti con la speranza. Il meglio: Hanga è un giocatore che ha bisogno di avere la squadra intorno, non può essere abbandonato. Il peggio: i tipi come Gaines ti fanno godere una volta e poi credono ti poter fare quello che vogliono.

BOLOGNA 7 – Non ci avremmo mai scommesso sui 14 punti della Virtus, sì sono 14 perché la punizione federale andava affibiata a quelli giusti e non a questi disperati di Sandor riassemblati dietro a Villalta. Bravissimo Valli, bravo Arrrigoni a scegliere bene, non tutti si capisce, ma col sale al posto dello zucchero attiri poche formichine utili. Il meglio: Ray nella speranza che trasmetta al giovane Fontecchio i messaggi giusti, quelli di oggi e non di quando arrivò con la cresta bella alta e un passato che solo lui considerava glorioso. Il peggio: questo Gilchrist doveva aveva avere la valigia pronta già dopo 3 giornate.

PISTOIA 6.5 – Moretti e i suoi capolavori. Ricomincia sempre con entusiasmo, ha talento, ha genialità. Bravo davvero. Il meglio: Vincere quando gli altri si aspettano che tu vada a sbattere. Il peggio: i fischi, il fuoco amico. Incredibile.

ROMA 6.5 – Qui ci voleva elettrino per far diventare carrozze tanti pezzi di legno. La difesa di Roma esiste. Il resto è un falso. Il meglio: Jones quando non è distratto dalla sua passione per il cinema, visto e girato. Il peggio: Viale Tiziano vergogna del nostro basket e quei vuoti, quelle miserie dalle docce ai cronometri sono la fotografia del tutto al terzo anno di miracoli degli uomini a cui è stato dato quasi niente. Comico.

CAPO D’ORLANDO 8 – Alzi la mano chi pensava che si sarebbero salvati già alla fine del girone di andata. Bravo Griccioli, bravi tutti. Miracoli dove ci si vuole bene. Il meglio: senza dubbio Basile, 32’ in campo contro Venezia, ma ci pensate, Soragna. Montagne. I nostri difensori della fede. Il peggio: non esiste se vai oltre ogni aspettativa.

VARESE 6 – Non ci siamo esaltati per la fiammata iniziale, non ci siamo stupiti per le crisi cicliche e fisiologiche se devi spremere al massimo ritmo gli stessi. Non puoi davvero fare nozze da società che ha vinto tutto con i fichi secchi che ti consente un bilancio ridotto all’osso. Il meglio: l’illuminazione Pozzecco, la sua forza per avere tutte le attenzioni, quella carica che ne fa uno speciale. Il peggio: Pozzecco quando si dimentica che fra il dire e il fare esiste sempre la sofferenza in allenamento.

CANTÙ 5 – Non ci incanta la strada europea. Troppe delusioni e sapete quanto vogliamo bene a Sacripanti. Ci sono stati troppi equivoci e la squadra non rappresenta il vero spirto del Cantuki. Del suo allenatore. Il meglio: deve ancora arrivare, non diteci che è bastato battere il Khimki per sentirsi assolti. Il peggio: gli stranieri di quest’annno hanno mandato in confusione tutti.

PESARO 6 – Come i punti che ha messo incredibilmente insieme per una classifica che la tiene nella terra di nessuno. Il meglio: Dell’Agnello perché ci vuole fede, bisogna davvero essere coraggiosi per accettare di attraversare mari pieni di squali e della roba che hanno buttato ieri notte nella sede. Il peggio. La solita Pesaro che sa trovare i colpevoli, ma non il consorzio per dare alla città una squadra degna delle tradizioni. Troppo facile scaricare tutto sui passanti all’astronave.

CASERTA 4 – Tutto sbagliato e tutto rifatto male. Non è condannata perché Pesaro ha meno mezzi. Il meglio: rivedere Esposito in panchina, ma nel dolore per il trattamento a Molin, per la nuvola Markovski. Il peggio: la fuga dalle responsabilità dei dimissionari, dei dimissionati, dei padroni di una biciclietta senza ruote.

 Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto

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