I segreti del bookmaker, ma solo quelli pubblici

19 Dicembre 2014 di Stefano Olivari

La lettura di I segreti del bookmaker, di Federico Pistone e Antonio Saikali, ci ha lasciato un po’ così. Forse perché eravamo convinti di trovare discorsi interessanti sulla formazione delle quote e soprattutto sul loro mutamento in base a notizie ed eventi secondo parametri precisi (e in certi casi sensibilità dei quotisti). Invece il libro, edito da Sperling & Kupfer, è un buon primo libro per chi pochissimo sa di betting (il correttore di WordPress insiste per petting, starà facendo iniezioni di testosterone) ma non dà molto allo scommettitore abituale, limitandosi a mescolare matematica elementare e buon senso. Una volta capita la formula per ricavare una quota da una percentuale (e viceversa), ogni ragionamento può partire da lì a prescindere dal numero di possibili risultati, da 2 a infinito, per un evento. Il libro del giornalista del Corriere della Sera (Pistone) e del bookmaker (Saikali) ha però almeno il pregio, rispetto ad opere concorrenti, di essere scritto in un italiano corretto e di essere onesto: non vende cioè normali divisioni e moltiplicazioni come scienza rivelata. La chiave di tutto è capire di quanto sia l’aggio (cioè il margine) del banco: se trasformando le quote in probabilità e sommandole ci risulta, per esempio, 112, significa che una distribuzione equilibrata delle puntate farà vincere al banco di sicuro il 12%. Ed è chiaro che il giocatore deve rompere l’equilibrio, trovando la quota ‘sbagliata’ (per il flusso abnorme sulle grandi, per i differenti mercati di riferimento, a volte anche per sbagli del bookmaker) e attaccando lì. Calcolando l’aggio di ogni giocata si capisce benissimo la follia delle martingale, ben sottolineata nel libro, cioè delle giocate multiple (di qualsiasi tipo), dove il rischio aumenta in maniera più che proporzionale rispetto alle possibilità di vincita. Quasi sempre punitive le quote su gol segnati, risultato esatto e cose del genere. Ma se è facile spiegare cosa evitare, più difficile è dare indicazioni operative: nel libro ci si limita a qualche nozione di money management e al discutibile elogio dei sistemi a correzione di errore. In un capitolo viene spiegato con chiarezza l’Asian Handicap, in Italia di solito poco apprezzato (nemmeno noi ne siamo fan, ma solo perché lo consideriamo poco intuitivo), in un altro si mettono a confronto i vari sport, mentre incredibilmente viene trascurato il betting exchange (traduzione: una piattaforma dove si può sia puntare che bancare) che già da solo sarebbe una scuola di bookmaking al di là degli evidenti limiti della versione italiana di Betfair (primo fra tutti quello di non riuscire a fare mercato su molte giocate). A completare il libro qualche statistica e un glossario per absolute beginners, che siamo riusciti a leggere senza alcuna delle droghe usate dal grande David. Conclusione? Da regalare a chi è vagamente interessato alle scommesse, ma vede ancora le quote come geroglifici.

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