Giancarlo Giannini, libertà e solitudine di un bambino

10 Dicembre 2014 di Paolo Morati

Un nostro caro amico di recente ci ha confessato che da ragazzino odiava Giancarlo Giannini. Lo odiava perché era innamorato di Mariangela Melato e non poteva sopportare di vederlo sullo schermo con lei. Questo piccolo aneddoto ci risulta utile per introdurre il racconto dell’autobiografia del grande attore nato a La Spezia e trapiantato a Napoli, intitolata Sono ancora un bambino (ma nessuno può sgridarmi), per Longanesi, curata da Gabriella Greison. Storia che si apre e si chiude con il pesto. Il pesto? Sì il pesto, quel delizioso condimento e del quale l’attore è talmente specialista da essere stato battezzato nell’ambiente il suo ‘re’. Del resto l’arte culinaria fa periodicamente capolino nelle 285 pagine di un viaggio a tappe nel corso del quale Giannini confessa che alla fine di una giornata spesa su un set ama tornare da solo nella sua stanza d’albergo per prepararsi da mangiare. Insieme a tanti episodi legati alla professione di attore, il racconto in prima persona è quello di un uomo che dichiara di aver conquistato l’indipendenza, la solitudine e la libertà, fattori ritenuti fondamentali delle sue giornate in un mondo dove pensa che oggi sembri prevalere solo la voglia di intrattenimento per coloro che non hanno una vita propria.

Per chi lo conoscesse solo come attore, Giancarlo Giannini è un perito elettronico e la formazione scientifica è stata un asse portante delle sue scelte, dei suoi ragionamenti, delle riflessioni e degli atteggiamenti, fuori e dentro alla pelle di attore. Inventore (sua la Musical Jacket che si vede nel film Toys indossata da Robin Williams), solitario, appassionato fin da piccolo di fotografia e immagine, dopo aver frequentato l’Accademia di Arte Drammatica Silvio d’Amico di Roma il suo è stato un percorso affascinante verso una recitazione fondata sull’interpretazione creativa del personaggio contrapposta alla scuola americana dell’immedesimazione, quella dell’Actors Studio, che Giannini critica raccontando anche alcuni aneddoti dove tale approccio ha portato poi gli attori a stare male come nella finzione, creando situazioni di pericolo.

Forte di una carriera che lo ha visto recitare in italiano così come in inglese, per diversi anni a teatro anche su palcoscenici internazionali, per poi decidere di mollare tutto per il cinema dove ha fatto parte di film di varia natura e produzione (impressionante il numero di ‘stelle’ con cui ha lavorato, italiane e straniere), Giannini porta quindi la sua testimonianza sul diverso approccio che americani e italiani hanno nella realizzazione dei film. Un contrasto che deriva anche dalle storie diverse dei due Paesi laddove – spiega-  se gli americani si esaltano e producono da ‘fanciulli’ le cose migliori davanti a sceneggiature difficili e fantasiose, dal canto nostro prevale un inferiore coraggio e infantilismo, nonché un approccio più critico alla produzione. Il tutto in una situazione di attuale decadenza del cinema legata anche a una mancanza di coraggio del racconto dell’inesistente e della creazione di personaggi così come di comodità generale che ha visto molti trarre film dai romanzi anziché produrre sceneggiature totalmente originali.

Tra un Federico Fellini che gli parla del Parmigiano, un Pier Paolo Pasolini che discorre con lui di fiammiferi e un Billy Wilder che gli cita a memoria le battute dei suoi film, Giannini individua in Sessomatto il suo film più coraggioso, racconta le grandi esperienze con Lina Wertmuller e la genesi di personaggi storici come Mimì Metallurgico, l’amicizia con Vittorio Gassman e il legame artistico con la Melato, fino alle recenti apparizioni nei film di James Bond. Senza trascurare l’esperienza del doppiaggio e mettendo al centro una filosofia fondata sulla creazione derivante dall’immaginazione per entrare nei pensieri più profondi dell’animo. Una vita dove c’è tanto gioco, curiosità, poesia, insonnia e l’unico vizio delle sigarette, l’amore per la solitudine come esperienza formativa e quello folle per i libri, la morte vista come intensa sensazione di conoscenza. Insomma, gran bel personaggio il Giancarlo Giannini che emerge da questo libro, peccato non ami prendere appuntamenti perché due chiacchiere con lui le avremmo fatte volentieri. Magari proprio davanti ai fornelli, da grandi amanti del pesto, vivendo la realtà e la fantasia come una cosa sola.

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