Vita di Adele, quando il sesso è troppo lungo

19 Novembre 2014 di Stefano Olivari

Un film di lesbiche con un regista tunisino, oltretutto premiato a Cannes, avrebbe sulla carta tutto per non piacere alla corrente salvinian-putiniana di Indiscreto, ma nonostante la prevenzione La vita di Adele, visto poche ore fa, è un discreto (nulla di più) film anche al netto dell’ora di troppo (due sarebbero bastate, da notare che il regista ne aveva previste quasi quattro nella sceneggiatura originale) che ha allungato una trama abbastanza scarna e incentrata sul rapporto fra la liceale Adele (attrice Adèle Exarchopoulos) e l’universitaria Emma (Léa Seydoux, stravista in ruoli da comprimaria ma anche in molte pubblicità), che poi si evolve con la crescita delle due: Adele diventa maestra elementare ed Emma pittrice di successo. C’è poco da spoilerare, onestamente, ma evitiamo anche quel poco e andiamo al punto. Perché le polemiche intorno al film non sono state incentrate tanto sulla sua qualità quanto sulle scene di sesso fra le due protagoniste: non per gli atti in sé, ma perché secondo molte donne con questo orientamento le scene soddisfano soprattutto un immaginario erotico maschile etero.

Non abbiamo ben capito quali sarebbero le ‘naturali’ scene di sesso lesbico che sarebbero state omesse, ma è senz’altro vero che l’equivalente omosessuale maschile si era visto finora soltanto in film porno XXX rated. Asterisco: tutto è tratto dalla graphic novel di una donna, Julie Maroh. E quindi? Il film è molto francese, pure troppo, fra artistoidi e abuso di scene girate a scuola (dove si fa soltanto letteratura francese, fra l’altro, da educazione fisica sono tutti esentati), ma ha diversi tocchi di classe fra cui una buona rappresentazione del senso di inadeguatezza piccolo borghese che (quasi) tutti noi conosciamo: poi Max Pezzali l’ha raccontato meglio di Abdellatif Kechiche, ma non sottilizziamo.

La polemica l’ha accesa Cristine Boutin, ex ministro di Sarkozy e leader del micropartito Crisiano-Democratico francese (affiliato all’UMP, cioè ai gollisti): “Il film rappresenta l’omosessualità come una moda e come una sorta di pensiero unico”. Ovviamente è stata linciata dal sistema mediatico francese, a paradossale conferma del pensiero unico, mentre il regista e produttore ha avuto vari altri problemi, primo fra tutti quello dei tecnici e collaboratori del film che pretendevano di essere pagati regolarmente. Ma anche in questo caso c’è il pensiero unico (“Fuori dalla porta ce ne sono mille che lo farebbero gratis”). Ci rimane una Palma d’Oro 2013 di notevole piattezza e lentezza, più qualche scena di sesso (anch’essa troppo lunga, comunque la si pensi) che è già culto-trash.

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