Italia-Cina e i limiti del volley da divano

13 Ottobre 2014 di Stefano Olivari

Eravamo fra i 4.436.000 divanisti che sabato sera su RaiDue hanno seguito la semifinale Italia-Cina, con punte di share di quasi il 25%: il doppio dei 2.328.000 che ieri pomeriggio hanno salutato il Mondiale delle azzurre con la finale per il bronzo, poi vinta dal Brasile al Forum di Assago. Puro piacere sportivo e nazionalistico, senza il dispiacere di vedere le facce di Conte e Tavecchio (ma anche quelle di alcuni inviati RAI) e soprattutto di doverne scrivere. Anche perché poi, nel caso, avremmo dovuto vergare il solito pistolotto contro la monocultura calcistica italiana (parentesi: la finale Usa-Cina, tornata su RaiSport, è stata vista da 828.000 persone) e su quanto siano brave e sottovalutate le nostre ragazze: come se la visione di Catania-Bari, per citare una partita di calcio che ieri avremmo guardato solo se pagati per farlo, fosse imposta dall’alto e non invece una libera scelta dei telespettatori. Senza contare i confronti morali e personali, dimenticando che appena arriva il fotografo del giornalino della parrocchia molte pallavoliste casa-chiesa-campo si trasformano in Miley Cyrus. Ma perché la pallavolo e in definitiva ogni altro sport diverso dal calcio nel nostro paese funzionano solo, quando si parla di numeri televisivi interessanti, nella logica del grande evento? La risposta la conoscono tutti, ma non è male ribadirla anche in questi momenti di esaltazione, in cui ci sembra impossibile non guardare volley per i prossimi undici mesi: rugby, pallacanestro, pallamano e tutti gli altri sport di squadra diversi dal calcio (discorso che vale all’ennesima potenza per le discipline individuali), sono ‘soltanto’ sport e implicano una scelta. Non sono in alcun modo rappresentativi della nostra identità, geografica, politica o etica. E possono piacere o non piacere al netto dei condizionamenti familiari e ambientali (più facile diventare un pallanotista a Recco che a Canazei) e del fatto che di loro non si parli. Quante discussioni sportive extracalcistiche con sconosciuti abbiamo intavolato, fuori dal ghetto web, nell’ultimo anno? Il calcio in Italia, ma non solo in Italia, viaggia su un altro binario: esperanto interclassista, vendicatore di ogni tipo di frustrazione, argomento importante perché tutti pensano che sia importante. Anche sport, certo, ma è evidente a tutti il motivo per cui in una media telecronaca di calcio ci siano meno considerazioni tecnico-tattiche che in 10 minuti di una di pallavolo. Per questo Nordmeccanica Piacenza-Imoco Conegliano, per citare l’equivalente femminile di Juventus-Roma, continuerà a raccogliere uno share infinitesimale.

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