La grande passione, Blatter contro i corrotti FIFA

16 Ottobre 2014 di Stefano Olivari

Il peggior film mai girato sul calcio, in rapporto al budget e alle ambizioni, è senza dubbio La grande passione (titolo originale United Passions), visto sulla RAI pochi giorni prima della finale di Brasile 2014. In pratica si tratta della storia della FIFA raccontata attraverso i suoi presidenti, da Guerin a Blatter. Non certo una storia del calcio, le immagini di gioco e giocatori sono poche, quasi tutte riguardanti una partita di strada fra bambini: come a suggerire che la FIFA si occupa di tutti (non come quei capitalisti della Champions League, noi siamo puri).

Inizio promettente e anche preciso dal punto di vista storico (giusta l’importanza data al banchiere olandese Wilhelm Hirschman, sconosciuto ai più), poi lo sbracamento con la caricatura di Julet Rimet interpretata da un Depardieu acchiappasoldi (ma a questo punto era più dignitoso il ‘tengo nu core italiano’ della Passata Rustica Cirio), un Havelange distaccato con la faccia di Sam Neill e soprattutto con una buona ora di film retta da Tim Roth-Blatter, umile lavoratore che fa carriera quasi a sua insaputa e scopre solo dopo la sua elezione a presidente (1998) le malversazioni delle gestioni precedenti. Dal caso ISL a Qatar 2022, lui deve sempre rimediare ai guai compiuti da altri. Senza che questi ‘altri’ abbiano un nome, ovviamente, anche se il sottotesto è che Havelange abbia creato il sistema che abbia favorito tutto questo. Qualche guizzo di copiatura da buoni libri, non vogliamo dire buona sceneggiatura, con l’importanza data a Horst Dassler, il signor Adidas prematuramente scomparso, risate con i congressi in cui i delegati africani venivano convinti a votare in un certo modo soltanto in cambio di futuri allargamenti del Mondiale, finale ultratrash usando l’incolpevole Mandela e una altrettanto incolpevole bambina.

Ma la fiction è fiction, anche se non si capisce come mai la FIFA abbia finanziato un film simile e non un documentario ugualmente embedded ma almeno con un senso. Anzi, si capisce: pura creazione di consenso che sarebbe stata impossibile rimanendo fedeli alla realtà, anche a una realtà edulcorata. Non è un dettaglio di poco conto che dei 25 milioni di euro di budget del film più di 20 siano stati di provenienza FIFA. Insomma, con i soldi in mano i produttori non è che abbiano avuto un grande coraggio, tanto da disinteressarsi della distribuzione del film (ci hanno detto che in qualche cinema svizzero lo si è programmato, però). Ci è voluta decisamente più faccia tosta per presentare questa roba all’ultimo Festival di Cannes. Con tutto il rispetto per Frederic Auburtin, che mai avevamo sentito nominare, ridateci la bravura e l’integrità morale di Sergio Martino.

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