La scuola di Djordjevic

8 Settembre 2014 di Oscar Eleni

Oscar Eleni alla colonna infame delle maledizioni aspettando che Alberto Rapuzzi, collaboratore anche di questo sito, finisca di saltare sui tavoli insieme ai collaboratori del ristorante per l’anima che si chiama In Veranda, un posto dove Sasha Djordjevic e sua moglie sono spesso di casa. Tenere calmo il Rap, nato con un amore sviscerato per la Ignis dell’età in cui a Varese tutto sembrava oro, unico collezionista al mondo di tutto quello che riguarda le pubblicazioni sul basket, anche se giura di essere stato derubato della raccolta Giganti, farlo ragionare prima che arrivi il vento del Nord su questa Serbia ondivaga affidata all’ombroso e talentuoso Teodosic, non è facile e in via Statuto al numero 16, dove ti fanno i dolci con mano materna, non esistono camere di decompressione come sanno bene tutti quelli, soprattutto nella Gazza degli orgasmi, che non lo hanno mai trovato d’accordo sulle scelte di panza per giornali sportivi e redazioni sport di quotidiani. Lui non è certo per le fantapagine.

Lasciare la zona milanese di via Moscova per andare al Lazzaretto dove c’è un colonna infame, e davanti a quella ondeggiamo nella litania del giorno e non soltanto per questa paresi artrosica: maledetta SportItalia, cosa faremo noi basketdipendenti dopo questo mondiale servito con la cura che usava il maggiordomo in Quel che resta del giorno? Servito bene, anche se tra una portata e l’altra è avvenuto quello che si temeva. Quel prendersi sul serio appreso così bene al famoso “piano di sopra” per cui ci siamo ritrovati, non molto spesso per fortuna, ma abbastanza per chiudere l’audio, in mezzo ad opinionisti del banale, in un mare oscuro di canestri che sputano, linee della carità, pitturato che non è colorato. Ci avevano stregato con la passione. Tanti racconti, tante storie, ma poi, si sa, il successo ti fa camminare sul baratro dell’autocompiacimento.

Comunque sia, maledetti loro che la prossima settimana non ci daranno più questo basket mondiale così gustoso, affascinante, bello anche da vedere, pazienza se poi azzecchi soltanto qualche previsione, se la Serbia fa il capolavoro in mezzo alla formula della minchia che già ci aveva fatto piangere quando le vittime erano italiane. Velasco nelle Olimpiadi con la pallavolo. La stessa Azzurra Tenera in Slovenia. Capolavoro andando persino dietro al barbuto Miroslav Radulijca che, tanto per cambiare, ci ha fatto discutere, (litigare? Ma no, siamo in pezzi), con il Wertherone santo difensore dei centri, uno che al torneo di Trieste aveva mandato in bestia Djordjevic che ad un certo punto sembrava volerlo cacciare come poi è giustamente accaduto con sua presunzione Micov miracolosamente sfuggito alle chele di Messina nel nosocomio moscovita, ma non si è salvato davanti al furore di un allenatore che è davvero speciale come potrebbe diventarlo Pozzecco se tutti i catecumeni convertiti oggi (persino Vescovi sorride, si sente coinvolto) resteranno dalla sua parte.

Djordjevic e la sua vita piena di colore, di avventure, esperienze dure e felici. Lui, da ragazzino, aveva visto da un posto privilegiato, come figlio dell’allenatore, il pestaggio nell’arena della Stella Rossa dove Kenney, mohicano Simmenthal, inseguiva e abbatteva tutto ciò che c’era sulla sua strada, meglio se poliziotti. Sa cosa sono le gelosie di ruolo, di vetrina, conosce la vita, il gioco, il mondo e con la volpe Bodiroga farà tanta bella strada. Ha sperimentato quasi tutto. Innamoramenti e divorzi con gente che gli voleva bene, ma il giorno dopo dava ordine di licenziarlo. Sa cosa è il marciapede dello sport, ma conosce pure la grande arte che lui ha interpretato così bene e come allenatore si è anche bruciato le piume lanciando imberbi che sarebbero diventati famosi, Danilo Gallinari a Milano, Alessandro Gentile a Treviso. Il coraggio di una scuola slava che al mondiale ci sembrava davvero in affanno. Ha pagato soltanto Repesa che forse merita certi castighi visti che ancora crede di poter avere reazioni da certi giocatori tipo il batterista Ukic, il pennellone Tomic che si anima quando tu sei già senza energie mentali per scuotere le truppe, cosa importante per ogni generale e la Croazia ne aveva bisogno di questa energia sfuggita al nostro orco. Stava per cadere nella trappola anche Zdvoc con la Slovenia, stessi problemi di slavismo mentale che ti esalta, ma ti manda anche in depressione perché non si riesce a leggere in fondo a certe anime di giocatori con talento che cambiano tanto appena non hanno più la fame motore dei diavoli come erano Danilovic e tutti i grandi del mito plavi.

Per fortuna di Ataman, un tipo che dovrebbe benedire dove sono passati i veri cavalieri sarmati capaci di cambiare la storia del basket turco, nella dolorosa eredità di Boscia Tanjevic c’era anche il bosniaco Emir Preldzic, che ha festeggiato con un giorno di ritardo il suo compleanno con la maglia della Turchia, lui nato a Zenica, in Bosnia, portato ad Istanbul nel 2007, a vent’anni, arrostendo nei nanosecondi finali l’Australia che aveva meritato tantissimo, ma ha raccolto il nulla sbagliando più tiri liberi che passaggi.

Euforia esagerata a poche ore dalla smazzata che conta in un Mondiale dalla formula ingiusta, anche se avere tutti i continenti ha sempre avuto un senso: ma si parlava di Olimpiadi e non di campionati dove, per differenziarsi appunto dai Giochi, ci dovrebbe essere il meglio. Si potrebbero mettere in scena qualificazioni interessanti per arrivare ad avere ad un torneo finale davvero facile da vendere nel mondo, persino agli americani che aspettano soltanto il previsto epilogo contro la Spagna. Non come adesso. La Grecia che aveva fatto cose bellissime, anche come gioco, mangiata dai serbi che avevano lasciato in spogliatoio l’abito di luce e si erano messi il saio. La stessa Ucraina sballottata dalla guerra tradita da combinazioni maleolenti, determinate anche da arbitraggi che ci hanno convinto di una cosa fondamentale: qui si dirige sempre pensando alla geopolitica, alla simpatia. Non esiste interpretazione del regolamento per lasciare che il gioco scorra anche nel contatto ruvido. Fischiare una carezza alle spalle e non sancire un fallo per colpi di clava sa tanto di mentalità barocca, distante dalla culla americana e basterebbe seguire la NBA, non la NCAA, per rendersi conto di certe cose, di alcune finezze che dividono gli arbitri quaqquaraqua da quelli bravi davvero che magari possono, per noi dovrebbero e lo diciamo proprio rimpiangendo i grandi del passato e il Facchini vicino al santuario dell’onnipotenza, stare sulla scena anche fino ai settant’anni. Reclutamento difficile, ruolo ingrato. Perché non cambiare le cose e tenersi i più bravi?

Va be’. Chi ti ascolta, artrosico senza speranza? Guarda il Petrucci impegnato nel circo a tre piste per sostenere la nuova Lega innamorata del basket notturno, per trovare una via d‘uscita nel caso Hackett che non può promettere fedeltà ad Azzurra se i suoi mali, denunciati pubblicamente, poi si è scusato, ma il male c’era dicono i suoi tutor, saranno curati in un’altra stagione intensissima che alla fine lo lascerà con i tendini urlanti e la schiena in fiamme. Non hanno tempo. La Lega sta pensando a chi dare l’ultimo pacchetto dopo aver ceduto alla diretta streaming della rosea. Dicono che oltre a SportItalia ci sono in ballo altri, tipo Nuvolari. Più dei quattrini bisognerebbe avere garanzia di qualità tecnica. O no?

Una Lega dinamica quella di Marino che in tutti questi anni, pur avendo dovuto accompagnare nell’ultimo viaggio dirigenti che hanno fatto storia, cominciando magari da Porelli, non aveva mai pensato di dare un nome al premio per chi costruisce davvero le società e adesso, invece, grazie alla spinta innovativa di Sassari, dedicherà il trofeo al Giovanni Cherchi che ha mezzo cemento nelle basi per la storia di questa Dinamo.

Dicevamo di SportItalia, mentre Petrucci ribadiva che la televisione federale del basket nascerà nel 2015. Costo? Siamo sicuri che una base ridotta alla fame non avrebbe bisogno di quattrini che potrebbero venir risparmiati cercando di andare sottobraccio con chi ha già dimostrato di essere utile alla causa? Chiedere in giro.

A proposito, ricordiamo che il finae settimana sarà dedicato a grandi ricordi. Amblar per chi era fratello del Grigo venerdì prossimo e poi il torneo della Canottieri Milano, in Alzaia Naviglio grande, domenica 14, nel ricordo di Mario Borella e del barone Sales. In barella, ma ci saremo perché certa gente vive per sempre dentro di noi e non nelle sculture di Iacopo della Quercia.

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