Le fatiche di Tommy Wack

22 Settembre 2014 di Paolo Morati

Più di una volta abbiamo sentito dire che noi italiani non abbiamo voglia di lavorare. O meglio, che accomodati in posizioni consolidate e senza rischi, appena abbiamo la possibilità di prenderci una pausetta oltre il normale (che sia la tanto agognata macchinetta del caffè o la più moderna chattata su Facebook) non abbiamo problemi di sorta, tanto nessuno ci tocca o ci penserà qualcun altro ad eseguire il nostro compito. Atteggiamento opposto rispetto a quanto accadrebbe in Paesi considerati più civili come la Germania e l’Inghilterra dove il senso civico (ma anche l’amor proprio) fanno sì che il lavoro venga visto come un dovere verso se stessi ma anche e soprattutto gli altri. Ma è proprio così?

Mentre si profila sempre più all’orizzonte una guerra tra poveri e si accende il confronto (scontro) tra Governo e sindacati sul famigerato Jobs Act (più semplicemente – in italiano – la riforma del lavoro proposta dall’esecutivo guidato da Matteo Renzi), l’esperienza ci dice che sulla nostra strada di gente che ha voglia di lavorare ne abbiamo incontrata veramente tanta e che generalizzare non fa mai bene. Anche se bisogna sempre distinguere tra il desiderare un lavoro (inteso come entrata fissa al di là di quanto e come si svolge la propria attività) e volersi meritare veramente il compenso, rispettando contratti e compiti (il che deve valere però per entrambe le parti…), facendo sì che la responsabilità superi la pigrizia e la famigerata sedia scaldata.

Dall’Inghilterra ancora lontana dalle riforme di Margaret Thatcher tirate in ballo in questi giorni, per capire che tutto il mondo è (ieri come oggi) paese e offrire qualche spunto di discussione, ci viene in aiuto una divertente striscia a fumetti di fine anni Sessanta intitolata Tommy Wack e che qui si ricorda per le uscite (tradotte da Maria Grazia Perini) su Eureka nonché su una rivista a lui dedicata. Ambientata in una fabbrica vede il protagonista incarnare il classico scansafatiche per il quale ogni occasione è buona per non lavorare. In realtà un’attività in cui si impegna ce l’ha. Anzi più di una: fare l’allibratore per i colleghi, giocare a carte, seguire la sua squadra di calcio e correre dietro alle ‘pupe’ al di là della sua formosa fidanzata e collega Bet.

Ancora convivente con una mamma appesantita, brava cuoca punzecchiante che lo chiama per cognome, Wack non ha alcuna intenzione di mettere la testa a posto forte di una posizione consolidata e incredibilmente inattaccabile nonostante il ‘controllo’ del suo superiore Squashy. L’autore, Hugh Morren, mette in piazza in modo frizzante diversi temi particolarmente attuali in quegli anni nell’Inghilterra proletaria (e non solo), mentre il ruolo del sindacato viene presentato in modo controverso. Eccezionale il disegno nella sua essenzialità, con uno Wack pettinato alla Elvis e i personaggi in generale che spesso guardano con occhio ironico verso il lettore. Meno celebre rispetto ad altre strisce, assolutamente da recuperare per sorridere in un’epoca in cui (lavorativamente parlando. ma non solo) c’è poco da ridere.

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