Un limite per i Kimetto

29 Settembre 2014 di Stefano Olivari

Dennis Kimetto, l’uomo senza nome e senza età (trentenne forse ventenne e probabilmente 26enne), con il suo 2h02’57” è il nuovo primatista mondiale di maratona grazie a anche al ‘sistema’ Berlino: dislivelli inesistenti, campo di partecipanti buono ma non buonissimo (quindi pochi avversari da tenere d’occhio), lepri perfette fino al chilometro numero 30, clima giusto. Condizioni che non si trovano mai, tutte insieme, in una maratona mondiale o olimpica. Questo non per sminuire l’impresa del keniano, primo uomo a scendere sotto le 2 ore e 3 minuti, ma solo per inquadrarla: le prime sette performance di tutti i tempi sulla distanza sono state ottenute proprio a Berlino, fra il 2008 (Gebre) e ieri, mentre l’oro di Londra 2012 è stato vinto da Kiprotich correndo quasi 5 minuti più lento in un percorso che come dislivelli è paragonabile. In altre parole, con lo stesso tempo l’ugandese sarebbe a Berlino stato staccato di quasi 2 chilometri. E il Daniele Meucci campione europeo a Zurigo (percorso non facile, pieno di punti in cui si deve rilanciare la corsa) di quasi 3… cosa vogliamo dire? Che l’imbattibilità africana nelle gare che contano, di mezzofondo e su strada, non risiede tanto nelle punte di rendimento come quella di Kimetto, comunque spiegabili, quanto in un livello medio pazzesco. Mentre scriviamo queste righe fra i migliori 100 maratoneti del 2014 i primi 53 sono keniani o etiopi (Shumi Dechasa, numero 22, nazionalità del Bahrein, è in realtà etiope) e che solo alla posizione numero 54 c’è il giapponese Matsumura. Primo europeo Mo Farah alla 61, il dato davvero incredibile è che solo 12 dei primi 100 non sono keniani ed etiopi. In altre parole, non è un discorso razziale visto che la caratteristiche di keniani ed etiopi si ritrovano in altre popolazioni africane, ma di ambiente in senso ampio. Altitudine, sistema sportivo di derivazione coloniale ma con poche strutture (e quindi con sport di squadra penalizzati), concorrenza feroce, spirito di sacrificio, una testa da professionisti fin dall’adolescenza che porta a fare scelte drastiche (inutile essere il quarto keniano su 5mila pur correndoli in meno di 13 minuti, senza poter andare a Mondiali o Olimpiadi) e sempre in direzione strada, allenatori europei che al di là della loro mitizzazione lavorano anche molto sulla quantità. Chi si ricorda dei tanti Koech mal consigliati? Mentre per noi perdere lungo il percorso una Del Buono o una Reina è una tragedia, in Kenya si dice ‘avanti il prossimo’. Gli elementi prima indicati sono interdipendenti, se no non si spiegherebbe la scomparsa totale dell’Africa mediterranea e di quella subsahariana, dove non è che i ragazzi siano tutti a vegetare davanti alle playstation, facendo una pausa solo per Burger King. Venendo a considerazioni italiane, per non dire italiote, tutto questo significa che potendo partecipare solo tre, massimo quattro (dipende dal detentore del titolo), atleti per nazione alle maratone che fanno entrare nella storia, già con l’esperienza attuale (tre maratone totali) Meucci, 151esimo maratoneta 2014, può sognare un piazzamento nei primi dieci a Rio. Un’ingiustizia sportiva, senza dubbio, ma anche un prezzo da pagare al nazionalismo, che poi è il vero grande sponsor dell’atletica.

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