The Butler, l’importanza di partire da Harvard

21 Agosto 2014 di Stefano Olivari

La situazione di questi giorni nel Missouri ci ha fatto venire in mente un film come The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca: non certo una pellicola di nicchia, ma nemmeno di quelle stra-citate, pur avendo avuto un discreto successo soprattutto in patria. Forse non ci sono abbastanza messaggi anti-berlusconiani… È la storia, vera, di Cecil Gaines (protagonista Forest Whitaker) e della lotta per i diritti civili dei neri statunitensi, ma non solo dei loro, vista attraverso i suoi differenti punti di osservazione: prima quasi schiavo, pur con la schiavitù formalmente abolita, in una piantagione della Georgia (dove il padre gli viene ucciso sotto gli occhi dal figlio dei padroni), poi cameriere in un grande albergo di Washington e infine maggiordomo alla Casa Bianca in un periodo lunghissimo, che va dalla presidenza Eisenhower (interpretato da Robin Williams, uno dei suoi ultimi ruoli) a quella Reagan. Gaines osserva senza commentare e a lungo anche senza giudicare, le parole e gli atti di quelli che a turno sono stati gli uomini più potenti del mondo. Come atteggiamento di base privilegia il farsi i fatti propri, ma la sua relativa serenità borghese viene messa in discussione dai due figli: Louis si iscrive alla Pantere Nere e farà politica attiva, anche da altre posizioni, per tutta la vita, mentre Charlie si arruola e muore in Vietnam. Due ragazzi, due diversi modi di essere americani (vivendo in un territorio controllato dall’Isis, o anche da un governo islamico sedicente moderato, avrebbero avuto meno opzioni). La consapevolezza di Gaines, di sicuro nel film ma non sappiamo se anche nella realtà, non va solo in una direzione razziale ma anche in una di classe sociale. E lo si vede benissimo quasi nel finale, quando Reagan impone che il suo stipendio sia portato al livello dei pari-grado bianchi e lui e la moglie Gloria (una Oprah Winfrey più espressiva di tanti attori veri) vengono invitati a un ricevimento alla Casa Bianca per rendersi conto che ormai negli anni Ottanta e in quel contesto a nessuno importa niente della loro pelle mentre per l’eternità rimarranno camerieri senza possibilità di scalata sociale. Il film, di cui è impossibile ricordare tutti i camei (da Lenny Kravitz a Mariah Carey, mancava solo Andrea Mingardi) è stato fatto passare come un manifesto dell’obamismo, con tanto di citazione, ma pur essendo un prodotto di consumo è andato molto più in profondità rispetto al solito pippone kennedian-veltroniano. Perché l’Obama giovane non era un miliardario alla Kennedy o alla Bush, ma è comunque partito da Harvard. Più oscuri avvocati neri e meno stelle del basket, la strada da percorrere sarebbe chiara ma non si può imporre per decreto come la fine della segregazione nelle scuole e negli autobus.

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