Magic City, Miami senza ideologia

26 Agosto 2014 di Stefano Olivari

La brutta notizia è che Magic City sia finito, nel senso che dopo la seconda stagione non ce ne sarà una terza: il network americano Starz, produttore della serie, ne ha infatti annunciato la chiusura qualche mese fa. La bella notizia è che in Italia la seconda stagione, composta da 8 episodi come la prima, non si è ancora vista e quindi speriamo che il nostro consiglio possa far passare qualche ora lieta (anche se siamo cresciuti con un’altra idea di ‘ore liete’), immaginiamo sempre su Sky Atlantic, a chi lo raccoglierà. L’ambientazione è Miami, partendo dal 1959 quando Castro nella vicina Cuba sembra una meteora destinata a passare velocemente. È la Miami dei grandi alberghi, anzi di un grandissimo albergo: il Miramar Playa, costruito e gestito dal protagonista, Ike Evans (interpretato da Jeffrey Dean Morgan). Un po’ imprenditore visionario, un po’ gangster (suo socio è l’inquietante Ben Diamond, che terrorizza e ha in mano mezza Miami), un po’ uomo tormentato, Evans è sposato con Vera (la strepitosa Olga Kurylenko: molto somigliante a Melinda Clarke, la Julie Cooper di O.C.), sua seconda moglie e quindi matrigna dei tre figli: il seriosetto Danny, aspirante magistrato che ha una storia con una cameriera cubana, il cazzaro e simile al padre Stevie, che fra le varie donne incrocia quella di Ben Diamond (la classica brunetta non dei Ricchi e Poveri, ma dell’hard boiled) e la piccola Lily. Infiniti i personaggi di contorno, tutti con movenze lente come ci si immagina che sia in Florida (a Miami poi abbiamo notato che è davvero così) ma con decisioni veloci e crudeli. Nemici dell’idea meravigliosa di Ike sono, nell’ordine: i debiti, i magistrati che non lo fanno lavorare e che gli mettono anche una certa pressione per un omicidio (che lui ha commesso, ma per difendere una delle sue escort), Ben Diamond che vuole trasformare Miami in un casinò (non spoileriamo se diciamo che questo non avviene) corrompendo politici locali e nazionali, i sindacati che vengono sistemati in un modo che non definiremmo ‘concertazione’, il fantasma della prima moglie defunta che si materializza attraverso la sorella Meg, l’insoddisfazione di Vera che da ex stella dello spettacolo non ci sta a fare la casalinga disperata e senza figli suoi. Poi i soliti ingredienti delle serie ambientate in quell’epoca: una spruzzata di Frank Sinatra, una spolverata di Jackie Kennedy, la crescente importanza della televisione, il sesso che uno si aspetta in un simile contesto e anche di più. Magic City non ha fatto parlare tantissimo di sé perché per essere una serie di culto gli manca un impianto ideologico forte, di quelli che fanno sbavare i critici e sentire più intelligenti gli spettatori, ma è girata benissimo, anche con un’ottima fotografia. E ‘trasmette’ Miami pur facendola vedere pochissimo, non a caso la serie ha avuto critiche locali migliori rispetto a quelle nazionali (non c’è il serial killer che annuncia le sue gesta con messaggi in aramaico, per dire). Una di quelle serie pericolosamente realistiche, dove non ci sono grandi uomini ma solo una grande tragedia come la vita, che però può avere (e li ha, a Miami come a Canegrate o a Pozzuoli) aspetti interessanti ed emozionanti.

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