A lezione dalla Pellegrini

25 Agosto 2014 di Stefano Olivari

L’ottimo bilancio azzurro agli Europei di nuoto di Berlino (8 ori, 3 argenti, 12 bronzi, terzo posto nel medagliere) non adeguatamente sottolineato dal di solito mediatico Malagò, permette un impietoso confronto continentale (2 ori e un argento, nono posto) con l’atletica visto che stiamo parlando di realtà organizzative molto simili (dai gruppi militari agli sponsor, passando per la carenza di strutture in molte aree del paese) ma evidentemente con una diversa gestione degli atleti di vertice. Asterisco 1: a Berlino le gare erano 66, a Zurigo 47. Asterisco 2: nell’atletica il talento puro, anche se non inquadrato in un sistema, ha maggiori possibilità di emergere rispetto a una situazione analoga nel nuoto. Ma asterischi a parte, una differenza appare chiara: nel nuoto italiano vige il centralismo quasi assoluto (con Verona e Roma punti di riferimento), con poche eccezioni, mentre nell’atletica si procede in ordine sparso con Formia e Tirrenia che sono più apprezzate dagli atleti stranieri che dai nostri. Considerando che stiamo parlando nella quasi totalità dei casi di dipendenti statali e non di imprenditori di se stessi come possono essere Farah e Bolt (o la stessa Pellegrini, che giustamente si allena dove vuole), la FIDAL dovrebbe avere gioco facile nel pretendere un ritorno al passato.

   Steve Ovett e Johnny Gray, basterebbero i nomi per dare un valore al meeting di Birmingham dove davanti a un pubblico entusiasta ieri si è dato l’assalto ai loro record, sia pure su distanze non olimpiche (anzi, nel primo caso nemmeno IAAF visto che le federazione fra le distanze non metriche considera soltanto il miglio). Missione compiuta per Mo Farah, che ha letteralmente schiantato, di quasi 6 secondi (!!!) il primato europeo datato 1978 del grande rivale di Seb Coe. Un 8’07″85 clamoroso, perché Farah non è al 100% e lo si è visto anche nella vittoriosa campagna europea a Zurigo, che fa felici gli inglesi ma nemmeno avvicina Daniel Komen, cioè l’uomo che nella storia del mezzofondo meno ha vinto in rapporto al talento. Non avremmo scommesso sul record europeo di Farah, che invece si è materializzato, mentre avremmo scommesso su quello mondiale di David Rudisha, visto che i 600 sembrerebbero la distanza ideale per un ottocentista da ‘due quattrocento’ come lui, che ci ha regalato la più grande emozione sportiva vissuta dal vivo (Londra 2012). Invece il record di Gray, lepre involontaria (nel senso di poco dotato in volata) di tanti 800 anni Ottanta e Novanta, ha resistito e ci permette di ricordare un grandissimo talento naturale, con una carriera da 4 Giochi Olimpici (partecipò senza qualificarsi ai Trials per Mosca 1980, che poi gli USA avrebbero boicottato, e vinse il bronzo a Barcellona 1992 nella finale in cui Benvenuti fu splendido quinto) e un numero di occasioni perse che ci aveva reso suoi tifosi.

http://youtu.be/-nrPb_I_sv4

Adesso che Usain Bolt ha chiuso la sua stagione, sorprendendo gli organizzatori di Zurigo, Justin Gatlin fa ancora più paura. Perché quasi nessun dopato rientrato da una lunga squalifica è tornato più forte di prima e perché nel 2014 il volto mondiale dello sprint è il suo. Da Ben Johnson in poi fisico e tempi si sono spesso sgonfiati, dopo le squalifiche, anche perché nel frattempo erano passati due o quattro anni. Gatlin no. Ed è per questo che in metà dei meeting che contano nessuno lo vuole: è successo la scorsa settimana a Stoccolma, succederà in questa a Zurigo. Il 32enne bronzo olimpico in carica nei 100 (e oro 2004), con alle spalle i suoi bravi 4 anni di stop per testosterone (2006-2010), continua a lamentarsi di questo ostracismo ma non ha alcun appiglio per autoinvitarsi a meeting privati. Ostracismo che poi non esiste dappertutto, ma è certo che l’esclusione da Zurigo in quest’anno senza grandi competizioni fa malissimo al primatista stagionale nei 100 (9”80) e nei 200 (19”68), rappresentato dall’indimenticabile Renaldo Nehemiah, fenomeno negli ostacoli e comprimario nella NFL (dove comunque lo avevano messo sotto contratto i 49ers di Bill Walsh e Joe Montana, non i più stupidi di tutti). Una situazione inedita, proprio perché Gatlin è più forte di prima.

Non è chiaro se quella di Rieti, domenica 7 settembre, sarà l’ultima gara della carriera di Beppe Gibilisco. È probabile che non lo sia, dopo la delusione europea, perché proprio Zurigo ha dimostrato che con 5 metri e 70 (cioè lo stagionale del siracusano) si può ancora vincere una medaglia. Un suo buon amico ci dice che ha una mezza promessa da parte del CONI per la gestione del centro federale di Formia, ma ci sembra tutto molto vago anche perché questa promessa era stata fatta nell’era Pagnozzi (il suocero di Alessandro Nesta è sempre stato un fan di Gibilisco), come indennizzo per l’incredibile errore, per non dire di peggio (semmai dovrebbe dirlo Gibilisco, adesso che è al capolinea), della procura antidoping di Torri che di fatto gli stroncò la carriera sul più bello, dopo l’oro al Mondiale 2003 ed il bronzo olimpico di Atene. Probabile che tiri a campare ancora un paio d’anni nelle Fiamme Gialle, in attesa degli eventi. Al di là del fatto che non vediamo quali italiani possano di sicuro portare più punti di lui nel Campionato d’Europa per nazioni, non solo nell’asta. In altre parole, non abbia tutta questa fretta di conoscere la vita reale visto che ha tranquillamente in canna la quarta finale olimpica.

Share this article