Testimoni di Vasco (Reggiolo 1979 e altre storie)

10 Luglio 2014 di Glezos

Nel giorno dell’ultimo concerto di Vasco Rossi per il 2014 (tre all’Olimpico di Roma e quattro a San Siro, compreso quello di stasera) proponiamo un capitolo del libro ‘Alla ricerca del Vasco perduto – Creazione di una rockstar italiana’  (editore ovviamente Indiscreto, in vendita sia in versione cartacea che eBook) riguardante l’inizio della sua attività concertistica ed in particolare lo storico live a Reggiolo del 1979.

Urge vera band per prendere la strada che Vasco ha in mente. Una direzione che in realtà di rock ha poco nella natura delle canzoni, che nascono ancora cantautorali per poi infilarsi il giubbotto di pelle sotto le dita di Maurizio Solieri: “A chi mi dice che l’anima rock di Vasco sono io, rispondo che di sicuro non è un’esagerazione” (1). Solieri tra le altre cose è reduce dalle jam session a casa di Guido Elmi, che ha conosciuto l’anno prima. Grande appassionato di rock, Elmi a Bologna gravita attorno a un giro di musicisti che si estende ad ambienti imparentati con la new wave cittadina alla Luti Chroma. Entrambi sanno benissimo che i rockettari c’entrano poco con le atmosfere pop-acustiche, e forse c’entrano ancora meno gli strumentisti che dopo l’uscita di ‘Non Siamo Mica Gli Americani!’ si uniscono a loro due: Arcangelo ‘Kaba’ Cavazzuti (batteria, polistrumentista e futuro membro dei Modena City Ramblers), Roberto Corticelli (basso) e Massimo Testa (tastiere) sono un trio jazz-rock. Gaetano Curreri è ancora al suo posto, la sua collaborazione con Lucio Dalla non lo ha ancora definitivamente assorbito e allontanato da Vasco. E in più c’è l’entrata in scena di Massimo Riva in versione neo chitarrista acustico-ritmico instradato alle gioie della sei corde proprio da Solieri. Il quale sa anche che questo non sarà un line-up rock’n’roll, ma è anche vero che in questa fase è importante poter contare su strumentisti di una certa affidabilità. E poi non ci sono né un vero e proprio manager né un vero tour davanti: gli ingaggi sono quelli che sono e vanno presi al volo. In questo periodo alcune prove hanno luogo in una nuova struttura destinata a diventare leggendaria: gli Umbi Studios dei fratelli Maggi, a Modena.

“Quando Vasco e il suo gruppo sono venuti da noi, lo studio esisteva da un paio d’anni. L’idea di aprirlo era venuta a mio fratello Umbi, che era il bassista dei Nomadi ma che a differenza di molti altri strumentisti vedeva la musica in modo diverso, globale e quasi sperimentale. Quindi avevamo messo su uno studio a Modena sulla via Emilia, dove vivevamo in una casa grande e Umbi aveva deciso di usare tre stanze a questo scopo” (2). Le parole di Maurizio Maggi si intrecciano con quelle di un altro Maurizio -Solieri-, che sorride al ricordo come tutti gli altri passati da lì: “Eravamo andati a provare dai fratelli Maggi a Modena, che avevano aperto da poco. Poi da ‘Colpa d’Alfredo’ in poi ci abbiamo anche registrato: era una situazione familiare e rilassata, ci siamo subito trovati bene”. Di lì a un paio d’anni l’idea di Umbi rivoluzionerà la concezione dello studio di registrazione così com’è concepita nell’Italia a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta.

Umberto ‘Umbi’ Maggi è uno dei nomi storici della registrazione fonografica italiana. Bassista dei Nomadi nel periodo 1971-1984, nel 1977 insieme al fratello Maurizio apre a Modena il suo primo studio di registrazione, inizialmente con l’intenzione di utilizzarlo per le prove e le registrazioni del gruppo di Augusto Daolio. La veloce crescita dello studio crea attorno ai fratelli Maggi una mistica che nel 1981 sfocia nel trasferimento nella vicina Montale Rangone. Inizia il periodo d’oro degli Umbi Studios, tra i primissimi in Europa ad accoppiare l’eccellenza tecnica a una accomodation unica: gli studi sono in una villa a due piani in campagna con camere confortevoli, cucina, sala giochi e tutto quanto serve per concentrarsi e lavorare in relax (si può passare dalla camera alla regia direttamente in pigiama), con l’aggiunta di uno studio mobile per le registrazioni live. Tra il 1981 e il 1996 tutte le star italiane registreranno a Montale, da Vasco a Zucchero a Francesco De Gregori e molti altri. Oltre al suo ruolo negli Studios, Umbi Maggi è fondamentale nella scoperta e nell’ascesa al successo di più di una popstar italiana, da Zucchero ad Andrea Bocelli. 

Maurizio Maggi, fratello minore di Umbi, è da una trentina d’anni il più famoso sound engineer italiano. La lista delle popstar nostrane legate al suo nome è interminabile: Zucchero, Eros Ramazzotti, Renato Zero, Adriano Celentano, Claudio Baglioni, Jovanotti, Franco Battiato, Pino Daniele, Fiorella Mannoia, Tiziano Ferro, Elisa, Laura Pausini, Cesare Cremonini e altri gli hanno affidato la gestione tecnica delle loro tournée in Italia e all’estero. E’ stato technical director e engineer di eventi e spettacoli tv come ‘Pavarotti & Friends’, ‘Notre Dame De Paris’, ‘Festivalbar’, ‘Music Farm’ e delle Olimpiadi di Torino 2006.

Umbi ricorda i suoi ultimi tempi da Nomade: “A cavallo tra la fine degli anni Settanta e gli Ottanta le cose erano cambiate drasticamente. L’era dei gruppi era finita già da un pezzo. Nel caso dei Nomadi, il numero di serate e di ingaggi era sempre alto ma paradossalmente questa non era una cosa che ci aveva aiutato, perché mentre gli altri complessi avevano via via terminato il loro corso noi si resisteva on the road, in una sorta di battaglia sulla strada a oltranza. Ma la stanchezza, l’apatia e la mancanza di entusiasmo la sentivamo da un pezzo. Il cambiamento generazionale l’avevamo davanti agli occhi: era iniziata l’epoca delle discoteche, il pubblico era diverso e noi in un certo senso ci eravamo seduti sugli allori. Così avevo aperto lo studio, che era un mio sogno da anni. E che nel periodo 1978-1982 aveva cominciato a funzionare: da gioco era diventato una cosa un po’ più seria, che mi aveva dato la possibilità di osservare da vicino i cambiamenti in campo musicale e soprattutto cosa stavano facendo gli altri. Incominciavo a capire come funzionavano le cose nella discografia, come venivano organizzate la produzione e la realizzazione dei dischi, tutti fattori alieni al pianeta Nomadi” (3). Quando apre lo studio suo fratello Maurizio è alle prime armi. “In quel periodo praticamente non ho esperienza a livello professionale, la volontà e la voglia abbondano ma io resto la mascotte dello studio e di tutti quelli che vengono a registrare da noi. Che sono tanti, perché attorno a mio fratello c’è questa aura del “bassista dei Nomadi” e soprattutto a Modena ci siamo solo noi e il nostro in città è considerato come ‘lo studio’”. E arriva subito una chance vera. “Poco dopo l’apertura ci vengono a trovare Franco Miseria e il suo team Rai da Roma, che ci dicono: ‘Abbiamo degli show televisivi in programma con questa nuova soubrette italoamericana, si chiama Heather Parisi e siamo sicuri che farà un botto’. Quindi iniziamo a lavorare con Heather, che in poco tempo diventa un membro della nostra famiglia. E dopo il botto arriva davvero con ‘Disco Bambina’, che registriamo lì da noi. In poco tempo si crea un’alone speciale intorno allo studio, ed è lì che arriva Vasco” (2).

Il primo impatto è ancora vivo nella memoria. Sempre Maurizio Maggi: “Davanti a lui e alla sua band non avevi l’impressione di trovarti davanti ai soliti professionisti tenuti insieme dal lavoro, ma ad un gruppo di amici compatto e molto affiatato. Eravamo tutti molto giovani e nessuno di noi pensava alla musica come a un lavoro. Volevamo fare sì qualcosa di musicale, ma farne un lavoro no: la molla era quella di vedere com’era creare e registrare le canzoni, con un senso di avventura che oggi si è completamente perso. Per dire, con Vasco e la sua band c’era Guido Elmi che non sapeva suonare, ma il loro rapporto di amicizia era forte e se l’erano portato in studio. Guido se ne stava alle percussioni e ci dava dentro. L’approccio da parte mia era il più semplice immaginabile, anche perché ero agli inizi e non è che ai tempi avessimo in studio grandissimi mezzi tecnici. Quindi era tutto un esperimento: come registrare gli strumenti, a che distanza posizionare i microfoni, eccetera. E tutto si imparava sul campo, facendo e disfacendo, provando e riprovando. Ai tempi era un altro Vasco: la sua vena cantautorale era molto forte e c’era questa sua fama molto grande come disc jockey in radio e nelle discoteche di un po’ tutta l’Emilia. Vederlo alle prese con le sue canzoni faceva un po’ uno strano effetto. E i suoi pezzi erano inusuali fin dai primi due album, c’era sempre uno spunto o uno sprazzo imprevedibile e il talento di Vasco anche come autore era evidente, anche se non al punto di immaginare l’enormità del successo che sarebbe poi arrivato. Nel mio ruolo di fonico e soprattutto di mascotte non esprimevo pareri o impressioni dal punto di vista artistico: ero troppo preso a imparare a rigirarmi tra le mani ogni inconveniente tecnico che può capitare in studio”. E’ un periodo di fermenti destinati a durare, con l’Emilia al centro dell’attenzione del mondo musicale anche sotto il profilo tecnico. “Il luogo comune nato col beat negli anni Sessanta dell’Emilia come West Coast italiana si rafforza in questo periodo, con da un lato noi a Modena e dall’altro una realtà consolidata come Fonoprint a Bologna. Sono gli anni della sacra triade degli arrangiatori-produttori emiliani che stanno mietendo successi in Italia e all’estero, ovvero Celso Valli, Fio Zanotti e Mauro Malavasi. Parallelamente inizia l’ascesa di Vasco, che da noi registra da ‘Colpa d’Alfredo’ in avanti gran parte degli album storici, ‘Bollicine’ compreso. Un periodo irripetibile: ogni volta che ci penso mi sembra incredibile che tutto questo mi sia successo davvero” (2).

Nel settembre 1994 Umbi e Maurizio Maggi organizzano una giornata che celebra gli anni di attività degli Umbi Studios con una cena alla quale partecipano tutti gli artisti che hanno registrato a Montale nel corso degli anni. Tutti o quasi: manca solo Vasco, ma Guido Elmi c’è. Viene allestita una tavolata che corre lungo tutta la sala di registrazione e nel dopocena il megagruppo si trasferisce al Graffiti di Modena per un memorabile concerto in cui tutti suonano con tutti fino a notte inoltrata in una sala stipata all’inverosimile. La registrazione audio e video della serata e le foto di quella sera, tuttora negli archivi dei fratelli Maggi, sono l’ultima testimonianza dell’epoca d’oro degli Umbi Studios, che chiuderanno due anni dopo.

Le esibizioni live di Vasco e dei suoi complici nel 1979 sono poco documentate e spesso – fatalmente – in modo farraginoso. Una manciata di serate va in scena prevalentemente in Emilia e dintorni (Picchio Rosso di Formigine, Due Stelle a Reggiolo, Caravel a Mantova). Qualche fonte cita una data in quel di Pavullo, dove Vasco sarebbe caduto dal palco a causa di una spia poco stabile sulla quale si sarebbe seduto, con successivo tentativo di far passare l’imprevisto come gag preparata nei dettagli (4).  Alcune esibizioni sono da ascrivere al tour-package Primo Concerto, coacervo di cantautori quasi esordienti che va in scena in alcune discoteche: il 14 marzo 79 al Le Cupole di Manerbio, Brescia, poco dopo al Caravel e al Sayonara di Castel Goffredo, sempre nel mantovano. I protagonisti oltre a Vasco sono Alberto Fortis, Marco Ferradini, la cantautrice quasi impegnata Teresa Gatta, il poliedrico Francesco Magni, Vincenzo Spampinato (che si inventerà la kitschissima autodefinizione di ‘rockmantico’), Mario Dazzo e lo scoppiettante e quasi rockettaro Lino Ruffo: qualche brano a testa, foto di gruppo e via in cerca della prossima. Altre serate in discoteca in questo periodo: Bussola di Mirandola (Modena), Picchio Rosso, Due Stelle a Reggiolo, forse una serata a Pescantina (Verona) e una convention Rai a Porto Cervo dal titolo quasi inquietante (‘Dove Va La Rai?’).

Le biografie concordano nell’attribuire a due date un’importanza cruciale nella virata di Vasco e del suo gruppo verso i lidi del rock, perlomeno nell’attitudine. La prima è quella srotolatasi in piazza Maggiore a Bologna il 26 maggio 1979 prima di un comizio di Claudio Signorile, vicesegretario del Partito Socialista Italiano in vista dell’accoppiata elettorale alle porte (Politiche il 3 giugno, Europee il 10).

Parlamentare PSI nel periodo 1972-1994, Signorile verrà in seguito incoronato da Bettino Craxi e dal suo governo come Ministro dei Trasporti (1983-1987), prima che le vicissitudini post-Tangentopoli lo portino a gravitare in area PD.

Il concerto è annunciato da un box pubblicato dal Resto del Carlino e presumibilmente da altri in zona: “Sabato 26 maggio, ore 21 in piazza Maggiore ad una manifestazione socialista – VASCO ROSSI e il suo spettacolo musicale ‘Non Siamo Mica Gli Americani!’”. I ricordi di chi era presente all’esibizione di quella sera vanno dall’indifferente all’annoiato, ma oggettivamente non potrebbe essere altrimenti: poco probabile che il quasi esordiente Vasco Rossi possa ispirare gli osanna di un pubblico affamato di rock in un contesto da Tribuna Elettorale. Nel 1996 dirà a Gino Castaldo di Repubblica: “Ovviamente quella sera in piazza c’erano tutti i fricchettoni e io sapevo bene come funzionava quel genere di pubblico perché fino a poco tempo prima c’ero anch’io, quindi – pensavo – adesso vado lì e mi massacrano”. L’immagine di Vasco ex freak piazzarolo lascia un po’ perplessi. E’ comunque da sottolineare l’esordio live di Massimo Riva alla chitarra acustica, che probabilmente ha iniziato a strimpellare da poco, ma non importa: il baby di Punto Radio zompa su e giù per il palco che è un piacere, mettendoci dentro quella vitalità che è rock’n’roll in partenza.

La seconda data importante è poco dopo in quel di Vicenza. Qui succede qualcosa. L’episodio è famoso: durante un live set che comprende anche brani decisamente rockeggianti (Maurizio Solieri nella sua autobiografia cita ‘Jumpin’ Jack Flash’ dei Rolling Stones e addirittura ‘God Save The Queen’ dei Sex Pistols, altre fonti citano ‘Cocaine’ di JJ Cale), alcuni ragazzotti appollaiati ai tavolini di un bar nei paraggi evidentemente incazzati – magari anche per le occhiate riservate dalle ragazze locali ai baldi giovanotti della band – incominciano a tirare delle freccette di carta a Vasco, che s’incazza di brutto. Maurizio Solieri se lo ricorda ancora: “Succedeva spesso che la gente ci tirasse roba varia sul palco, ma quella volta fu particolarmente pesante e Vasco s’incazzò parecchio”.  L’episodio è raccontato da più parti come quello della svolta. E’ opinione comune che a partire dalla data successiva al Picchio Rosso (in origine da dividere con un Alberto Fortis che poi darà forfeit: secondo alcuni per evitare il confronto con Vasco, anche se la tesi pare poco credibile) l’atteggiamento si trasformi in attitudine da Rock’N’Roll Animal, con Vasco a caricare a testa bassa su ogni palco a mo’ di sfida. Ma è probabile che il cambiamento non avvenga dall’oggi al domani, ma lungo un periodo che va dall’estate alle porte del novembre 1979, quando su Vasco si abbatte la tragedia della morte del padre per infarto. Il dolore devastante è richiamato dallo stesso Vasco come la motivazione finale nell’interpretare in modo diametralmente opposto una possibilità di carriera musicale fino a quel momento vissuta come un gioco: adesso non ho più niente, soprattutto non ho più niente da perdere. Davanti a questo ci si deve fermare: interpretare fatti e eventi nella vita di chiunque tentando goffe analisi di aspetti così profondi e personali è una pratica al limite dello sciacallaggio.

La testimonianza-vintage per eccellenza più diffusa dei primi live è la registrazione del concerto alla discoteca ‘Due Stelle’ nel 1979. Siamo poco dopo l’uscita di ‘Non Siamo Mica Gli Americani!’, ma la data è incerta. Il concerto di Reggiolo è disponibile in più forme, sul web e su cd bootleg. Uno dei più noti è ‘Reggiolo ’79 – “Domani sera scrivo a mia madre…”’, che riproduce tutti i 10 brani della scaletta di quella sera in un cd che ritrae in copertina Vasco on stage in occhiali da sole e quella che sembra una Gibson Les Paul. La resa sonora della registrazione è discreta e in ogni modo più che sufficiente per farsi un’idea del suo primo vero live act.

A Reggiolo l’apparizione sul palco di Vasco & Co. è annunciata dai gridolini estatici di gruppi di ragazze in visibilio. Un tipo tra il pubblico è evidentemente invidioso e inveisce contro di loro: “Sì, così, masturbatevi! Troie!”. Le ragazze continuano imperterrite, finché l’organo di Gaetano Curreri lancia l’intro di ‘Quindici Anni Fa’, punteggiato dalle pennellate di Maurizio Solieri. Vasco fa la sua entrata in scena in modo che più politicamente corretto non si può: “Ciao a tutti, è il momento di iniziare… ciao a tutti e benvenuti al Due Stelle di Reggiolo… buon divertimento!”. Un saluto poco rock’n’roll, a ben vedere. La lunga introduzione è marcatamente diversa dalla versione pubblicata sul secondo album: l’intro preso in prestito agli Ambrosia svanisce, sostituito da un robusto crescendo che sfocia nel brano vero e proprio, accolto dalle grida e dagli applausi del pubblico. Vasco sembra rinfrancato: la perenne preoccupazione per la resa dell’impianto sembra lasciare il posto fin dalle prime battute a una rilassata sicurezza di sé. Secondo pezzo, e ‘Jenny E’ Pazza’ si rivela come un vero caposaldo del primo Vasco. Le prime misure sono disturbate da una sorta di feedback, probabilmente causato dalla sua chitarra acustica. “P***o Dio, quella chitarra di merda…”, esclama una voce nei pressi del registratore che tramanda ai posteri la serata, “E’ sempre quella chitarra, John…. l’acustica!”. E’ lo stesso geloso di cui sopra? E chi è ‘John’? Misteri da Testimoni Di Vasco.

Quando parte l’arpeggio iniziale scoppia l’applauso: il pezzo lo conoscono tutti, evidentemente fin dai tempi del singolo d’esordio due anni prima. I quasi sei minuti e mezzo del brano scorrono via piuttosto lisci, con i componenti della band che confermano come Vasco abbia ragione a sentirsi sicuro con loro al suo fianco, nonostante i problemi tecnici quasi sempre insormontabili nei live italiani dell’epoca. ‘La Strega’ e ‘Va Be’ (Se Proprio Te Lo Devo Dire)’ scivolano in scioltezza, in preparazione di ‘Fegato, Fegato Spappolato’ che è la passerella dei musicisti, presentati uno a uno da un Vasco in formissima. Guidata dal riff funkeggiante di Maurizio Solieri, la band si butta nel groove in modo compatto e gli automatismi funzionano già in modo sorprendente. Solieri e Kaba trascinano tutti e Massimo Riva col passare dei secondi è sempre più alter ego e spalla di Vasco, che nel frattempo prosegue nella missione contro i predatori della sua personale arca perduta. Nel finale non viene proposto l’attacco di ‘God Save The Queen’ dei Pistols, presente nell’album: dopo lo sputo parte un chitarrismo all’americana, punteggiato da un break di batteria da sottofinale che assomiglia all’attacco di un assolo dei bei batteristi che furono. Dopo il quasi vernissage di ‘Sensazioni Forti’ – che vedrà la luce su vinile nel prossimo album -, ‘(Per Quello Che Ho Da Fare) Faccio Il Militare’ si presenta come un consolidato tour-de-force, con Massimo Riva che ci mette dentro tutto quello che può, ovvero boccacce, versi e i suoi laconici “Io non lo so, io piango e basta” a dilatare i tempi. Vasco a un terzo del brano si ferma e sbotta in un “Ogni volta è sempre più lungo, oh!”. Il sottofinale del concerto è tutto della band senza Vasco, che si prende una pausa prima di tornare su ‘Io Non So Più Cosa Fare’.

Poi l’introduzione di Bethonen Curreri ad ‘Albachiara’ è subito riconosciuta dalle molte ragazze in sala. Gridolini e applausi salgono d’intensità alle prime parole del testo: non è ancora un inno, ma che il pezzo sia il piatto forte è evidente visto l’entusiasmo generale. Entusiasmo quasi totalmente femminile, che rimanda alle caratteristiche su di cui un vero hit doveva e deve poter contare per confermarsi tale: piacere sempre e comunque alle donne, prima di tutto. Dal vivo il ritratto della ragazzina che mangia una mela coi libri di scuola è scandito da un incedere ovviamente molto più rock che su vinile, ma non ancora col finale eroico al quale Maurizio Solieri ci abituerà in futuro. Nonostante i timori per il sound, nonostante le tensioni del prima, durante e dopo concerto e nonostante quelli che se la prendono con le ragazze e le chitarre acustiche, tutto è andato quasi al meglio. Sceso dal palco di Reggiolo, Vasco ha tutte le ragioni per essere contento: va già bene così, a migliorare si farà sempre tempo. E si migliorerà, si migliorerà eccome.

Estratto del libro ‘Alla ricerca del Vasco Perduto – Creazione di una rockstar italiana, di Glezos. Indiscreto Editore, 2013. 320 pagine, 15 euro. In vendita su Amazon.it e in libreria (Hoepli, Feltrinelli e moltissime indipendenti). Il libro è disponibile anche in versione eBook a 6,99 euro, perKindle di Amazon e per tutti i tipi di eReader attraverso BookRepublic, oltre che per iPad e iPhone andando su iTunes.

1 – Maurizio Solieri, intervista.

 2 – Maurizio Maggi, intervista.

3 – Umberto Maggi, intervista.

4 – Interessante a questo riguardo ‘Vasco Rossi… E Poi, Voi!’ di Francesco Corbetta, volume di 300 pagine pubblicato da Phasar in sole 300 copie e dedicato alla storia di tutti i tour di Vasco, dal 1978 al 2005. Il libro propone le ricostruzioni di alcuni tra i primi concerti documentati di Vasco, con l’optional di alcune foto del suo periodo come dj in discoteca.

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