Una morte e tante vite per Giorgio Faletti

4 Luglio 2014 di Stefano Olivari

Giorgio Faletti è morto a 63 anni e anche noi stiamo poco bene, come sempre accade quando scompare una persona che nella nostra testa adolescenziale ‘c’è sempre stata’.

Giorgio Faletti è morto a 63 anni e anche noi stiamo poco bene, come sempre accade quando scompare una persona che nella nostra testa adolescenziale ‘c’è sempre stata’. Non è stato il miglior attore del mondo, né il miglior cantante o il miglior scrittore. Però ha raggiunto il successo in ognuno di questi campi (ha avuto anche qualche riscontro come pittore), senza appartenere a parrocchiette politiche o familistiche, venendo quindi sempre trattato con sufficienza dalla critica e anche dagli stessi media pop. Per noi è ovviamente il Vito Catozzo di Drive In, la guardia giurata con il mito di Celentano e con il terrore che il figlio (chiamato Vito Adriano Celentano Catozzo) gli diventasse un ‘orecchione’. Ma prima di noi era stato uno dei comici del Derby, ai tempi molto meno noto di Renato Pozzetto o Teo Teocoli, ma facente comunque parte della stessa infornata. Dai vari personaggi del Drive In si era affrancato con la svolta musicale che tanto svolta non era, visto che la musica ce l’aveva da sempre nel cuore: autore (anche per altri, tipo Mina, Fiordaliso, Milva, Gigliola Cinquetti e Angelo Branduardi) e cantante, prima che con la storica Signor Tenente (seconda nel 1994) partecipa nel 1992 al Festival di Sanremo in coppia con Orietta Berti (Rumba di tango). Bella e sottovalutata, forse perché poco gridazzara, L’assurdo mestiere, portata al Festival nel 1995, e che riteniamo forse il suo momento di massima ispirazione. Ma senza tirarsela, con stupore quotidiano, nel lavoro e nelle interviste. Come quando raggiunse un improbabile successo letterario, vendendo quantità davvero ‘americane’ (in Italia!) del suo Io uccido. Ricordiamo dell’epoca solo una recensione positiva di Antonio D’Orrico su Sette, in mezzo a un po’ di scherno degli infelici da Premio Strega e in generale all’indifferenza mediatica di settore. Successo di pubblico che poi è stato replicato più volte, al punto che fra le sue tante incarnazioni Faletti ha ammesso di preferire quella di scrittore, senza stare a sottilizzare su serie A e serie B (del resto aveva provato anche a fare il giornalista, per citare una delle professioni falettiane che abbiamo trascurato). E quindi? Ci dispiace davvero moltissimo che la morte abbia preso anzitempo non un maestro monomaniaco e in definitiva poco interessante, una volta esaurita la vena creativa, ma un uomo eclettico e curioso. Morto non a caso da vivo, dopo avere vissuto più di una vita.

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