La vera Italia del Palio

12 Maggio 2014 di Oscar Eleni

Oscar Eleni portato fuori dall’arena di Siviglia come il povero toro Vittorino. Non basteranno mille spiegazioni.La vittima è come quel tipo della pubblicità: perché sento, ma non capisco le parole? Dal giorno in cui hanno confinato agli arresti domiciliari Ferdinando Minucci ci siamo domandati se avevamo sbagliato qualcosa credendo a quasi tutto quello che ci era stato detto, anche dall’uomo dell’Istrice che arriva da Chiusdino. Per difendere i suoi progetti, quel capolavoro societario che era la Mens Sana Siena, abbiamo accettato persino di alimentare l’ironia di chi avendo mente corrotta, una vita grama, vede negli altri soltanto la piega amara dell’inginocchiamento, nella speranza di prendere qualche briciola. Non è mai andata così. Lo sanno in tanti, ma, evidentemente, non basta e non  basterà. Pazienza. Tanto il filo della vita è quasi alla fine per cui nessun pentimento, nessuna lacrima. Sei quello che gli altri credono di vedere. Nel bene. Nel male. Ora non aspetterò che il gallo canti tre volte per dire il contrario di quello che  pensavo ieri.

La fioritura della Mens Sana nella gestione Minucci è stata favorita da tante cose. Dai soldi del Banco, ma anche da una idea organizzativa che poi deve aver stregato tutti se anche davanti all’avanzata del “male” 14 presidenti su 16 hanno scelto il Ferdinando come presidente di una Lega di cui ricorderemo poco o niente di questi ultimi 8 anni. Dicono che la governasse già lui, travestito da padre costituente. Vero. Hanno sbagliato a non ribellarsi. Ma allora lo difendi ancora. No. Lo ammetteva, che per prima cosa pensava all’interesse della sua società. Un peccato che gli è stato rinfacciato mille volte, lo stesso peccato che gli  addebitavamo, senza assoluzione, quando si accanì e, in pratica, diede la spinta decisiva per l’uscita di Gilberto Benetton dal basket dopo il caso Lorbek lasciandoci soltanto la magnificenza della Ghirada e il cigolio del Palaverde. Ora, il Minucci, viene ripagato con la stessa moneta e si accorgerà che è davvero doloroso, triste, crudele, vedersi trattato così, senza il minimo riconoscimento per il molto che è stato fatto a Siena dove, come massima gloria avevano vissuto l’epopea corsara delle squadre del professor Cardaioli, e un mezzo girone d’andata quasi in testa ai tempi in cui allenava Rinaldi e lo sponsor era un venditore di scarpe.

Già, ma è vera gloria se vinci truccando i conti? Non lo è, ma qualcuno ci spiega come  è stato inventato questo meccanismo dei contratti d’immagine? Possibile che Minucci, lo ammetteva lui, arrivato quasi per ultimo, avesse scoperto il trucco  tutto da solo. Chi è onesto lo dice: lo facevano quasi tutti, ma non li hanno presi. Già. Ecco il vero peccato. Farsi prendere. Quando c’è stata la prima burrasca hanno funzionato le grandi orecchie di Petrucci. Che, temendo la “blindatura”, aveva ritenuto, come presidente federale e consigliore sopra le parti, di staccarsi immediatamente dalla volontà legaiola di febbraio, quando ebbero una grande fretta di mettere al lavoro per tutti l’uomo che aveva inventato qualcosa di speciale, ma soltanto per la sua società, convinti che fosse la strada giusta.

Ora aspettiamo che ci vengano a dire che non era una cosa importante quella costruita cambiando tanti allenatori, poi trovando la genialità di Ataman, la saggezza e lo scudetto con Recalcati, quindi il regno del piccolo principe Pianigiani, il capolavoro di Banchi e, alla fine, la prova che tutto aveva un senso nella costruzione per renderla più visibile dei giardini pensili in questa Babilonia dei canestri, questo secondo posto con Marco Crespi alla guida dei morituri che nell’arena saluteranno comunque da protagonisti, pur sapendo di essere già sportivamente morti.

Minucci ha sbagliato, ha esagerato, pagherà. Lui da solo? Vedremo. Ma lasciateci dire che  questa epopea senese resterà nella storia, anche se nello spicchio oscuro del pallone. Ci piaceva, ci piacerà sempre Siena, la sua gente, quel canto della Verbena. Ci ricorderemo, sempre, di come lavoravano. Tutti. Di come si comportavano i suoi giocatori. Quasi tutti. Al Palio cercheremo di andare sempre e comunque. Non avremo posti privilegiati garantiti, ma cercheremo di vivere da dentro, in qualche contrada, quella festa dove più che in altri posti possono capire cosa ha spinto e cosa ha influenzato l’uomo che adesso hanno messo ai domiciliari. Nel Palio, che ai tempi in cui lo andavamo già a vedere con Gianni Brera o, meglio, con Giulio Signori, si rivedeva la vera essenza dello sport italiano così come lo intediamo da noi. Tutto lecito per la vittoria, guai arrivare secondi. Per Signori era la  sublimazione del nostro non essere portati verso lo spirito che spesso ha animato le scelte, le invenzioni, degli inglesi, degli americani.

Mentre la membrana timpanica si richiude, senza dare più confidenza ai martelli, alla staffa e all’incudine dove battono quasi tutti “ quelli che sapevano”, eccoci al verdetto finale del campionato dopo 30 partite. Ci fa male che a retrocedere sia Recalcati, siano i giocatori della Sutor, ma non che la punizione tocchi ad una società che nel tempo ha fatto cose importanti, ma, purtroppo non può e non poteva reggere in questa dimensione. Siamo felici per la salvezza promessa di Pesaro. Contenti che Valter Scavolini abbia gioito come quando vinceva gli scudetti.

Siamo affranti per quella che è stata un’altra domenica nera dello sport bolognese. Fa malissimo veder andare tutto male, dal calcio alla Virtus, passando per i resti della Fortitudo che ci fanno venire cattivi pensieri pensando ad altre eutanasie di amori come potrebbe essere questo di Siena dove possiamo capire lo striscione “La fede non si ruba”, ma poi restiamo confusi su quello che si dovrebbe fare se devi confrontarti con dei colossi, non soltanto in Europa. E ora diteci se esiste eguaglianza competiva quando il budget registra distanze abissali. Come diceva quel tale? Io può. Ecco. Ma attenti a fare le vergini dai candidi manti. Accadeva, accade. Varese fu grande. Ma ci volle la forza economica dell’ingegner Borghi , un vulcano che ha meritato l’omaggio del ricordo televisivo in uno sceneggiato. Senza denaro non si va da nessuna parte, come sanno quelli che hanno dominato e ora dominano a Milano, Bologna, Cantù, Varese, Roma, la stessa Caserta aurea dei Maggiò, di Sarti e di Boscia anche se lui lanciava talenti che poi hanno guadagnato altrove l’oro che valevano. Te lo dicono i giocatori e i loro tutori o agenti. Nessuno gioca davvero per la maglia: magari qualcuno ci pensa, ma prima vuole vedere onorato un buon contratto. Niente di sbagliato e non ci vengano a dire che in Nazionale si va soltanto per la gloria. Sappiamo che  l’azzurro rende più bella qualsiasi immagine, soprattutto adesso.

Questo dibattito su ricchezza storica e ricchezza acquisita va avanti dai tempi di Tarzan, come diceva Cita. A Seul, Olimpiadi 1988, quando Ben Johnson venne bandito dallo sport per doping, tutti volevano la crocifissione del ragazzino che in povertà mangiava i piccioni accoppati al parco, ma nessuno fece caso agli altri, alla loro ricchezza originaria, alle protezioni di aziende più potenti di quella italiana che vestiva il caraibico dei canadesi.

Una discussione che non può essere a senso unico. Il cane, non furbo come il chihuahua che soffia i biscotti ai mastini, si morde comunque la coda: sei troppo ricco per poterti sfidare, già sono ricco, ma non come quelli che mi tengono lontano dall’Europa. Avete barato, noi paghiamo, voi promettete e poi non mantenete. A questo dovrà pensare il futuro presidente designato di una Lega che resta immobile anche dopo l’anatema del presidente Toti che aveva già fatto sapere, insieme a Villalta, di non volere Minucci a capo di quella specie di consorzio che è una organizzazione professionistica di sport ad alto livello. Non avranno mai i soldi per coinvolgere uno come Domenicali. Ora si fa il nome del Gherardini alla deriva NBA. Serve uno che sa camminare sul lago dei grandi buffi, hanno bisogno di uno che non si nasconda sempre dietro alla parola progetto. Ci vogliono fatti. Senza rimandare a luglio.

Torniamo sul campionato che ha mandato in vacanza otto squadre. Giocano, da lunedì prossimo, soltanto i migliori, in serie A, nelle leghe minori da dove sta sorgendo il sole del Gianmarco Pozzecco che è  già destinato al trono di Varese come sogna  il druido Pigionatti, come pensa la società che Vescovi ha diretto così bene, uscendo in maniera quasi elegante anche dal tormentone Minucci spiegando che aveva scelto il programma e non l’uomo. Ora si aspettano spiegazioni articolate degli altri che vadano oltre il banale espresso da qualcuno a “caldo”. I grandi elettori Proli e Cremascoli non hanno ancora chiarito come si siano decisi ad appoggiare l’uomo che fino al giorno prima,  o aveva preso il meglio dalle loro società, pensiamo a Cantù, o aveva dato i suoi gioielli al Cornelio di Armani che non si è certo risentito per quel cartello al Palasclavo che salutava la sfida dell’ultimo turno: Siena uno contro Siena due.

Certo che qualcosa di speciale doveva esserci al di là del gioco con le famose tre carte che ha turlupinato il fisco e ingrassato chi sapeva  tutto. A proposito, siamo sicuri che soltanto gli atleti stranieri sono andati a depositare dove non pagavano le tasse? Possibile che nel paese della grande evasioni gli unici davvero virtuosi siano giocatori e gli allenatori di basket italiani? Se fosse vero utilizziamo la cosa per le campagne pubblicitarie future, soprattutto quando ad ottobre nascerà la televisione del basket.

Nessuna pagella individuale, anche se chiediamo uno spazio speciale per il Comitato Regionale del Lazio di Francesco Martini dove il vicepresidente è il collega, lo eravamo anche se da rive opposte, Mario Arceri: il mensile che stampano e mandano per posta elettronica è il migliore esempio di come si possono utilizzare risorse e idee. Loro fanno un lavoro che meriterebbe già un premio, nella speranza che si muovano anche altre regioni, pur ammettendo che in questo momento il Lazio e non soltanto per la Stella Azzurra, le ragazze  sponsorizzate dal Belize ad Albano, i tanti campioni al vertice della squadra di Toti, è il faro del sistema per reclutamento e cultura di base.

Prima delle pagelle alle società una nota che ci viene suggerita dai viandanti capaci di andare a  vedere tutto il basket possibile, gli uomini che sanno riconoscere uno scorpione: hanno ragione quando restano con la piega amara di Pierrot per la disavventura dei telecronisti Rai, Dembinski, passione, impeto coinvolgente, e Michelini, ironia, competenza, che avrebbero dovuto essere tutelati, immediatamente avvertiti e aiutati dalla Lega maligna, nel finale di Pistoia-Caserta. Il bordocampista lo poteva e lo deve fornire la stessa Lega, non lo hanno mai fatto ed ecco l’incidente doloroso che, comunque non toglie nulla al valore di chi ha seguito così bene il campionato. Non sapevano che la sconfitta di Reggio Emilia avrebbe portato ad una classifica avulsa per tre squadre, le due sul campo e gli emiliani appunto. Anche loro erano rimasti fermi al dato più semplice: Caserta doveva difendere i 6 punti dell’andata. Per questo la confusione su certe scelte tecniche e tattiche, lo sconcerto vedendo saltare in aria i tappi a Pistoia e spuntare lacrime a Caserta. Tutto registrato, dolorosamente, ma abbiamo anche visto che a decidere, ancora una volta, è stata la famosa e comica “tolleranza zero” ad orologeria, direbbero i troppi inquisiti di oggi, che non certo per caso ha visto affibiare ben tre falli tecnici ai tre americani di Caserta, della squadra fuori casa. Ora non ci stupisce che il gola profonda informato su tutte le scelte dei nostri trasvolatori abbia escluso da un elenco di 12 arbitri italiani per i play off il Sahin utilizzato in finali europee. Certi lupacci perdono il pelo ma non il vizio e non è detto che soltanto loro abbiano in custodia la verità. Ora non chiedeteci perché alle finali europee di Milano hanno escluso, senza che ci fosse una rivolta mediatica e di settore, i rappresentati arbitrali dell’Italia. Non veniteci a dire che lo hanno fatto perché c’è di mezzo l’italiano Messina e il Maccabi non si fida, come del resto gli spagnoli. Impossibile rischiare di mettere un Lottermoser nei giochi e lasciare fuori i nostri, non dico il bistrattato Sahin, il Cerebuch, ma Lamonica che ha diretto il ritorno della finale persa da Trinchieri contro Valencia è andato benissimo.

Va bene. Pagellone partendo dalla classifica allenatori, secondo il concetto della scala Peterson per risultati nella logica che valgono 0, oltre la stessa da +1 a+2, inferiori alle previsioni -1 -2.: Sacripanti +10, Crespi +8 Bucchi e Moretti +6 per il podio. Poi, a seguire: Banchi + 5, Dalmonte + 4, Menetti +1, Molin e Pancotto 0. Recalcati e Dell’Agnello -1, Bizzozi -2, Markovski e Sacchetti -3, Valli -6, Vitucci -10. Noterete che l’unico ammesso ai play off con valutazione negativa è stato Sacchetti. Può ribaltare nelle partite che contano e il suo meno 3  è già a più 6 per il successo in coppa Italia. Noterete anche, a proposito di ricchezza e povertà, che sono i soldi, spesso, a fare diventare belle o brutte certe squadre.

EMPORIO ARMANI 7: ha vinto molti prestigiosi traguardi volanti. Diciannove vittorie consecutive. In semifinale sulla carrozza per un prevedibile cappotto a Pistoia.

SIENA 9: Basta sentire il tintinnare di manette per capire tutto quello che hanno passato Crespi e i suoi, fra l’altro pure finalisti di coppa Italia per cui Paperoga meriterebbe almeno il + 10 di Sacripanti.

CANTÙ 7.5: Grandi imprese, piccole cadute per fatica. La vediamo in semifinale e forse anche in finale, a meno che non salti in aria tutto per il futuro incerto.

SASSARI 6: Con la coppa Italia si sono fatti perdonare i peccati facili per chi conosce nuovo benessere tecnico ed economico. Hanno la panchina più lunga, ma lo scoglio Milano sembra escluderli dalla finale.

BRINDISI  7: Grande partenza, poi la fatica e gli infortuni hanno cambiato tante cose. Non pensiamo che vadano oltre i quarti.

ROMA 6: Non era facile portarsi dietro le nostalgie della finale del 2013, ma ci sono stati anche peccati e peccatucci che ora dovranno essere emendati contro l’imbattibilità del Pianella e di Cantù che ancora mastica amaro per l’eliminazione dell’anno scorso.

REGGIO EMILIA 6.5: Mezzo voto in più per la coppa europea, ma sono state molte le delusioni in trasferta e allora non vediamo un grande spazio contro Siena, ammesso che i reziari di Crespi resistano ancora a tutto.

PISTOIA 9: Neopromossa, partita per una durissima salvezza è nei play off. Sarà una apparizione, però ci sono.

CASERTA 7.5: Battuti tanti fantasmi, una stagione globalmente positiva e gestita bene, in campo e fuori. Non pensavamo che Atripaldi ce la facesse dopo l’amarezza biellese, ma, fortunatamente, sbagliavamo.

VARESE 5: Tutto da rifare, una nascita dolorosa con nessuno capace far diventare il fiore di Vitucci un luminoso cactus difensivo con Frates. Sono mancate troppe cose e Bizzozi è stato bravo a salvare il salvabile, che era comunque il minimo per Varese fuori dai play off.

VENEZIA 3: Se vedete Brugnaro inseguire col bastone una squadra sbagliata all’origine non stupitevi. Devono correre tutti fino alla Laguna dove saranno attesi da quei pescatori che sanno come trattare certe anguille.

AVELLINO 2: Meriterebbero un premio per aver mandato al diavolo i mercenari mai soddisfatti, ma sul campo hanno tenuto davvero la testa alta poche volte.

CREMONA 6: Cesare Pancotto esce bene dalla risaia dove si era impantanato Gresta. Salvezza meritata dal nobil homo che viene dal mare.

BOLOGNA 2: Peccati in serie. Tutti colpevoli per non aver saputo leggere una situazione già balorda in partenza. Male Bechi, male Valli. Una delusione che ci lascia tristi. Abbiamo bisogno di basket city, della Virtus e non soltanto delle Vu Nere.

PESARO 6: Con il poco che c’era nella stalla hanno fatto una corsa persino commovente. Dieci al tigre Dell’Agnello che ha mantenuto quello che aveva promesso alla presentazione: ci salveremo sul campo. Lo ha fatto. Tanto di cappello.

MONTEGRANARO 5: Otto a Recalcati, alla squadra, a Cinciarini, due a tutto il resto anche se capiamo le difficoltà.

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