David Blatt e quelli bravi

19 Maggio 2014 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla contea di Jefferson, ai confini fra Kentucky e Indiana, per il rogo di Louisville. La città di Muhammad Alì, hai detto niente, ma anche di David Blatt, dove verranno bruciati tutti i “sapientoni”, siamo in una numerosa compagnia, che ancora non sanno capire il mistero agonistico e credono soltanto alle magie delle lavagne luminose, alla schiavitù della statistica, ai sentito dire, alle storie così come ce le confezionano, al mondo infame di chi racconta tuto come se avvenisse sullo stesso palcoscenico, non importa se sei a Londra, Parigi, Milano, tanto  non riuscirebbero a far capire che esistono nell’aria fiori invisibili che fanno diventare possibile qualsiasi impresa, se ci credi, perché niente sta scritto, come diceva il colonnello Lawrence. Anche stando lontano dal Forum di Assago abbiamo sentito la stessa puzza che ti prende quando vai in quella terra dei fuochi, fra un teatro della Luna ed un palazzo dello sport che, lo ha dimostrato l’ULEB, può diventare una bella arena se ci lavori. Ora i legaioli che si scannano sul nuovo presidente al posto di Minucci. Separati, come sempre, in casa, non avranno fatto caso. No. Da noi si giocano finali scudetto in viale Tiziano, andremo in scatole di latta soffocanti. Pazienza.

Torniamo ai miasmi del Forum dove è caduta la testa  di Ettore Messina, il nostro Napoleone in esilio sull’isola dei rubli, alla testa di un armata rossiccia che è costata ben 48 milioni di euro. Sì, le cifre fanno venire i brividi a noi poveracci, ma ai ricchi chegliefrega. Un po’ la litania sui soldoni di Armani per arrivare al titolo che Milano non festeggia, nel basket, dal 1996. Per un’azienda che ha un fatturato superiore ai 2 miliardi cosa saranno mai le noccioline del basket, della 17esima azienda di famiglia, come ci tiene a far notare chi ne ha ereditato la storia soffrendola al punto da tenere il più lontano possibile, persino negli uffici, quelli che amano troppo il ricordo della società inventata da Bogoncelli e Rubini, la più scudettata del reame. Certo fra le noccioline, visto che re Giorgio Armani, seduto in prima fila alle finali di Eurolega, avrà certo apprezzato la scenografia (lui che sa cosa è lo stile, contrariamente ai Tigellino del sistema), si potrebbe anche trovare la mediazione per convincere i padroni del Forum che il grande basket si vive e si presenta come ha fatto l’ULEB, magari con il caos intorno, invasioni mal controllate, ma il vestito, sopra e sotto era proprio bello. Peccato che lo smantellino e per le probabili finali scudetto torneremo alle tribune dove si chiede a chi lavora un corso per giraffa.

Tornando alle giornate europee della città ingolfata dall’Expo che vede le avversarie battute, soprattutto i turchi, realizzare tutti i progetti senza intermediari, diciamo che nel mistero agonistico ha vinto il riciclaggio della gente che ha cuore, crede in quello che sta facendo, vive uno sport di squadra senza genuflessioni ad alcun falso idolo. Certo che è andato tutto bene a David Blatt. Dalla sera del supplementare vinto contro l’Emporio, all’alba del suo trionfo più straordinario, forse anche più della vittoria europea agli Europei spagnoli del 2007 contro le furie rosse che non furono tali davanti alla fortezza costruita dall’uomo cresciuto a Princeton.

Nessuno poteva immaginare che Cesare Messina fosse pugnalato da Weems, che era stato il migliore, che fosse proprio Khryapa il tenebroso a perdere la palla che poi Ryce ha fatto diventare oro. Degli altri congiurati del flop moscovita si sapeva già di più: il bolso Krstic, il vagotonico Teodosic, lo stesso Micov micione pigro e talentuso, per non parlare di Fridzon il barbiere del tiro da tre che non sa cosa sia la difesa. Pochi riuscivano a pensare che la metamorfosi del Real Madrid imbroghersito da troppe passeggiate potessero far confondere una squadra che Pepe Laso guida con la saggezza latina, ma anche con quella leggerezza che spesso fa scontrare la realtà con la presupponenza del mondo merengue. Certo, Fernandez ha giocato con un dito rotto, Mirotic è tornato il cucciolo ancora da svezzare, Llull il D’Artagnan sul cavallo giallo, il Cacho Rodriguez l’uomo che non deve difendere mai, Reyes il Giano che faceva dire al Messina in via di siluramento di non poter gestire una squadra con falsi idoli come lui. Ma anche il tipo che stava mettendo nei guai le difese al centro di Blatt prima di confondersi di nuovo quando la palla pesava davvero. E’ sempre stata la differenza fra lui e il Meneghin a cui si è forse ispirato in carriera.

Tutto vero, anche quel nuvolone tossico che ha mandato il Barcellona all’inferno, una due giorni dove quello che dovrebbe essere più di un club è diventato polveriera: abdicazione nel calcio, batosta nell’Eurolega di basket con manita in faccia presa dal Real Madrid  che in quel giulebbe milanese non ha saputo seguire  il segnale degli aruspici. Già a mezzogiorno i giovani talenti dei blancos le prendevano dai ruspanti della Stella Rossa che ci hanno fatto capire la vera evoluzione della più grande delle scuole europee di basket: se non hai più talenti, se hai meno soldi, allora punta sul resto. Il lavoro, la difesa. Loro, gli slavi ci sono e ci saranno sempre perché hanno avuto padri fondatori dell’università tecnica che hanno studiato  anche quando c’erano soltanto radici da mangiare o interpretare. Non si sono mai imborghesiti, certo hanno subito le lune di molti talentoni che si perdevano, si ubriacavano davanti ai miraggi, ma poi hanno fatto piazza pulita, ricominciato sempre dal basso e ora auguriamo buona fortuna a Djordjevic che tutte queste cose le sa e le ha vissute. Una rivoluzione che ora tenta di fare Pianigiani. Ma lui è un piccolo principe, per cui temiamo che, prima o poi, avrà uno scontro brutale con lo specchio dei narcisi che da tempo ci rende vulnerabili.

Cara gente, cari infedeli che non credevate in Tiresia Rice, il Maccabi campione d’Europa se lo guardate bene sembra una discarica dei sapientoni italiani che su questi giocatori non hanno puntato molti euro, anzi, se chiedevano  qualcosa di più li scaricavano, un po’ come ha fatto Varese con Cerella pentendosi subito dopo aver visto il primo allenamento senza di lui. Vi ricordate il Blu italiano, fra Treviso e Bologna? Nessuna parentela col leone del Forum. E Tyus tanto bistrattato a Cantù? Oppure Hickman che per troppa gente era adatto soltanto a  squadre con piccole ambizioni. Adesso lasciamo stare Big Sopho, il divoratore di pizze Schortsanitis che faceva impazzire il Bruno Arrigoni a cui si dovranno dare anche premi occulti per Tyus come per tutti i senesi tricolori passati da Cantù alla corte nella verbena, lui è davvero la fotografia del capolavoro del Davide di Lousiville. Un giocatore grosso, ma fragile, nel fiato, nella testa, negli stessi muscoloni ingabbiati nel corpo dal peso misterioso, si va dai 136 ai 160 chili a seconda delle lune. Uno che, però, diventata incubo appena veniva messo in gioco. Ci voleva una forza speciale per  vincere tutto presentando il bolso Zizic come nel quintetto base contro Mosca. Lui ci è riuscito. Un pitbull.

Eravamo rimasti molto colpiti dalla sua esperienza italiana prima di trovarlo nello splendore moscovita, quando aveva cercato una luce diversa visto che a Tel Aviv amavano l’allenatore istrione, l’uomo di polso, come Sherf, come Pini Gershon, come il Klein avversario di Peterson. Insomma soffriva e l’immenso Shimon Mizrahi che non vedrete mai nelle foto dei festeggiamenti, ma sempre in preghiera a bordo campo pensando al prossimo Maccabi, alle montagne da smuovere i palloni das trovare rifiutando quelli nuovi come gli diedero alla vigilia delle partite con Milano facendolo imbufalire, era perplesso davanti a questo cagnaccio. Poi si sono quasi capiti anche se ora si teme il divorzio dopo l’apoteosi di ieri al rientro in patria. Lo vuole il CSKA al posto del Messina sfinito, sfiduciato, depresso.

Lui, Blatt, ci aveva colpito perché guidando Treviso fece  capolavori  che in pochi notarono mentre si stava sfasciando la grande casa dei Benetton dove l’ultimo mohicano era il Giorgio Buzzavo che si era inventato il ruolo di maestro per un Riccardo Sales che le beghine del nostro basket avevano messo ai margini. Blatt,  contrariamente  ai tanti bugiardi che si inventarono storie per non essereci, presenziò al funerale di un uomo che aveva conosciuto soltanto da poco, in questo viaggio nella Marca che aveva tante cose speciali, perché a Treviso Gilberto Benetton aveva fatto un capolavoro e lo aveva affidato a gente davvero in gamba, risconoscendo che la mossa Sales, licenziato proprio dal paron nei tempi in cui tutto ancora doveva assestarsi e stava nascendo l’armada, era stata una geniale trovata del Buzzavo che ora tace anche sul caso Minucci lui che lo considerava il nemico più ostinato. Una guerra che, in pratica, ci ha rubato due grandi società.

Il gentiluomo ebreo  nella chiesa cristiana, davvero commosso, provato. Non una recita. Quando sei così anche i professionisti più incalliti ti vengono dietro, anche i russi  misteriosi che ha portato al bronzo olimpico, all’oro e al bronzo europeo.

Non  andiamo oltre perché qui nella contea di Jefferson, dove è nato anche un grande regista cimematografico come Gus Van Sant che preferiamo al Rondo di Boston, nato pure lui sotto la cascata del fiume Ohio, hanno fretta di  mangiare tutte quelle rane dalla bocca larga che avevano previsto ciò che non è accaduto, ma sfidiamo il sindaco a dirci se si può arrivare al titolo con uno come Pnini o come Ingles. Lui ci direbbe che il pitbull Blatt sapeva come far rendere quelli che altri allenatori avrebbero nascosto, considerando solo l’aspetto esteriore del giocatore, mai il cuore. E Pnini, soprattutto, ma lo stesso Ingles, hanno dato quello che nessun costruttore di squadre dovrebbe mai trascurare: i  Kenney, i Vittorio Gallinari, i leoni, le tigri del campo, li devi intuire e poi utilizzare al meglio. Non saranno mai gli espada della corrida, ma saranno i primi a sfiancare qualsiasi toro presuntuoso e poi ad offrirlo ai veri matador.

Al coro dei leccapiedi che vanno in giro a dire che Milano può consolarsi perché è stata battuta dai campioni d’Europa diciamo che mentono sapendo di farlo. Era la grande occasione dopo quella bellissima seconda fase del torneo. Sprecata. Lo sapevano tutti che dietro la facciata CSKA, soprattutto, ma anche Barcellona e poi, come si è visto, il Real, avevano tubature intasate, scale sporche per arrivare al tetto. L’occasione era enorme. Sprecata.

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