I migliori anni della pallavolo

19 Aprile 2014 di Alberto Rapuzzi

Carlo Gobbi è una delle memorie storiche della pallavolo italiana, un mito per noi che scriviamo di questo sport. Una vita alla Gazzetta dello Sport: dal 1961, con parentesi e ritorno nel 1963. Ora si è ritirato nella sua amata Modena e ha aperto con Indiscreto il cassetto dei ricordi, senza trascurare il presente. Ci ha fatto ricordare i tempi in cui seguire diversi sport era considerato per il giornalista sportivo un pregio e non un limite.

Signor Gobbi, è vero che ai tempi in Gazzetta voleve far cacciare il nostro Oscar Eleni perché le faceva troppi scherzi?
Quando tornai alla Rosea nel 1963 lui c’era già, ma non ho mai pensato di farlo mandare via! Anzi Lo consideravo molto originale e di una bravura straordinaria, con lui ho condiviso molte avventure.

A quante Olimpiadi è stato presente?

Nove, tra invernali ed estive. Ricordo in modo speciale Los Angeles 1984, dove percorsi 3.500 miglia, lavorando dalle 7 del mattino alle 3 di notte, mangiando qualche hamburger e coprendo cinque sport.

Nella sua lunga carriera si è occupato di diversi sport, seguendo gli eventi più importanti in tutto il mondo. A quali è maggiormente affezionato?
L’hockey su ghiaccio l’apprezzo molto per la sua spettacolarità, la ginnastica per la sua bellezza in un contesto ambientale di grande correttezza. Poi ovviamente un rapporto d’amore speciale ce l’ho con la pallavolo.

Parliamo allora di pallavolo… A quali nostre nazionali è rimasto più legato?
Nel maschile a quella del Mondiale 1978 di Carmelo Pittera che arrivò in finale a Roma contro l’invincibile Russia. Una squadra sospinta dalla grande forza del pubblico davanti a nazionali come Brasile e Cuba solitamente a noi superiori e quei tempi quasi inavvicinabili. Quella fu una svolta, anche se quella Nazionale del 1978 oggi non giocherebbe neanche in A2. Del resto nel tempo le cose si evolvono, lo stesso discorso si può fare per quasi tutti gli sport. Poi arrivarono i fenomeni e per loro parlano i risultati. Nel femminile quella che vinse il Mondiale ci emozionò tutti, con una splendida Togut, macchina da punti formidabile.

Quest’anno avremo per la prima volta il Mondiale delle ragazze in Italia. Come giudica la scelta di Bonitta fatta dalla Federazione?
Partirei da come è stato trattato Mencarelli: persona sicuramente corretta, seria perbene. Con le giovani ha fatto un grande lavoro. Probabilmente non è adatto a gestire un gruppo di atlete già formate, però questo non giustifica i modi utilizzati con lui per sostituirlo. Bonitta è un bravo allenatore, ma è una scelta incomprensibile. Cacciato dalle ragazze nove anni fa, si è poi solo occupato dei maschi, dove ha fatto bene, ma questo sembra voler dire che non ci sono professionisti nel femminile adeguati per la Nazionale. Io considero top Giovanni Guidetti e Marcello Abbondanza, Magri ha cercato Caprara e poi si è trovato senza nulla in mano, con ancora quella contrarietà al doppio incarico che non interessa più a nessuno. Con un Mondiale in casa serve arrivare almeno nelle prime quattro, con queste premesse non sarà facile. Bonitta punterà sulle anziane e sarà tutto una scommessa.

Se lei fosse il coach quale sarebbe il suo sestetto titolare al Mondiale?
Lea Lo Bianco, la Dall’Olio al femminile per carisma, precisione e fantasia. Centrali Folie e Barazza, poi Diouf non sempre costante ma il meglio che c’è: un fenomeno, in prospettiva. Poi Lucia Bosetti, Valentina Fiorin che ha perso molti anni ma ora sta recuperando, Giulia Leonardi o Moki De Gennaro come libero. Da tenere in considerazione anche Serena Ortolani che sta crescendo molto, un’atleta che ai tempi di Bergamo si chiedevano se fosse una campionessa o una come le altre.

Molti atleti stranieri dicono che in Italia ci si alleni poco, rispetto a realtà come ad esempio il Brasile.
Sì, è vero. In Brasile fanno anche tre allenamenti al giorno, ma non credo questa sia l’unica chiave di lettura delle loro vittorie. Contano molto anche la qualità del lavoro e le qualità fisiche di base.

Mosna, il presidente della Lega maschile, ha proposto l’eventualità di unire le due leghe. Lei cosa ne pensa?
Sarebbe un ritorno al passato, meglio secondo me che ognuna vada per la sua strada. Anche perché sono sport diversi.

Chi è il miglior giornalista che si occupa di pallavolo, attualmente?

Senza dubbio il numero uno è Gian Luca Pasini della Gazzetta, romagnolo un po’ lunatico, considerato nemico dalla Lega perché scrive verità scomode, in realtà vero innamorato di questo sport. In redazione sono sempre contenti quando non c’è, perché chiede continuamente più spazio per la pallavolo.

Nel nostro sport mancano le grandi città, che potrebbero dare una visibilità maggiore al movimento. Come interpreta tutto questo?
Credo che chi merita possa e debba stare in  serie A, anche se si chiama Casalmaggiore o Ornavasso. Roma e Milano sono città distratte da tante opportunità, Torino si adatta forse di più a questo discorso, ma poi io non vedo questa esigenza. Busto non è grande eppure ha un seguito superiore al Varese calcio ed esprime anche risultati sportivi e sociali importanti.

Mi parli del nostro presidente Carlo Magri e dell’ex numero uno mondiale Ruben Acosta…
Carlo Magri è stato un grandissimo presidente di club, ma non posso dire la stessa cosa come presidente di federazione. Non ci rappresenta, ora è pure bollito. Però si inventa sempre una scadenza successiva per rimanere in sella. Sarebbe meglio lasciasse, la sua gestione non la considero positiva. Ruben Acosta veniva definito da Candido Cannavò un esagerato avventuriero. È vero che con la pallavolo si è costruito un impero personale, ma ha fatto anche molto: geniale nel coprire il buco estivo con le manifestazioni internazionali delle Nazionali, che hanno portato risorse nuove a tutti. Ha cercato anche di venire incontro alle esigenze della televisione, ma il volley non sarà mai il calcio: impossibile sapere quando finirà una partita.

Nella sua Modena è tornato Bruninho, il figlio di Vera Mossa e Bernardinho. Che ricordo ha della loro epoca italiana?
Vera Mossa era sicuramente una grande giocatrice, bella donna e gran signora. Bernardinho a Modena ha fallito e si è sempre sentito in debito verso la città. Rimase anche indispettito per aver consigliato Dante che venne qua a svernare, ora forse spera col figlio di risarcire Modena.

Un pensiero per Bovolenta?
Un bravo ragazzo ben voluto fuori e dentro il campo, un campione. Ricordo la sua amarezza alle Olimpiadi di Atlanta dove fu fatto giocare con la maschera protettiva che però non gli permetteva di vedere bene e quindi ne condizionò il rendimento. Una follia di Velasco averlo messo in campo.

Per chi tifa Carlo Gobbi?
Per nessuno… Ci tengo alla mia imparzialità, per un giornalista ma anche per un vero appassionato la trovo doverosa e naturale. Anche se nel 1990 dopo che la Maxicono di Montali sconfisse la Panini mi tirarono dietro di tutto, anche delle scarpe… C’erano state infiltrazioni dal calcio, alla fine il grande presidente Panini dispiaciuto si scusò con tutti per il comportamento del suo pubblico.

Cosa risponde a chi afferma che la pallavolo non è uno sport ma un gioco?
Anni fa un collega mi disse che il volley era propedeutico per gli altri sport. Io risposi che era un grande sport e sarebbe diventato grandissimo. Così è stato.

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