House of cards per pochi

14 Aprile 2014 di Stefano Olivari

House of Cards è l’ennesima serie americana che impone di chiedersi, visto che non esistono effetti speciali né grandi scene in esterno divora-budget, come mai le produzioni europee raramente riescano ad andare al di là di personaggi banali e di trame buoniste che accompagnano il telespettatore verso il lieto fine o comunque verso una soluzione ‘definitiva’ dei casi che tranquillizza. Per non parlare poi di poliziotti corrotti, magistrati che agiscono su ordinazione, politici maneggioni che cambiano schieramento a seconda della convenienza: personaggi che fanno parte della realtà e della cronaca italiana, ma non della fiction. Qui siamo ancora fermi alla mela marcia in un sistema sano, con mentalità non dissimile da quella del ‘nell’arco di una stagione favori e torti arbitrali si compensano’. Il carabiniere non può insomma essere che Gigi Proietti. Rispetto alle altre fiction su Casa Bianca e dintorni House of Cards, in Italia iniziato la settimana scorsa su Sky Atlantic, ha la peculiarità di mostrare non il decisionismo presidenziale o la reazione ad eventi particolari (tipo Scandal, ormai degenerato in Chiquito e Paquito) ma la realtà quotidiana e lobbistica della politica. Dopo essere stato trombato dalla corsa  segretario di Stato, Frank Underwood, un maggiorente del partito democratico (interpretato da Kevin Spacey) si ritaglia un ruolo comunque importante nel governo del paese incidendo su nomine, ribaltando leggi, ricattando qua e là ma proprio come avviene nella realtà: non mandando sotto casa del ricattato un mafioso con la coppola, ma restringendo le alternative possibili fino a lasciarne soltanto una. Un gioco molto sottile e di gusto anche europeo: non a caso tutto nasce da un libro di Michael Dobbs, deputato tory inglese che ebbe i suoi momenti di notorietà con John Major, da cui più di 20 anni fa fu tratta una serie della BBC adesso rivisitata in salsa americana. Uno spoileratore folle ci ha parlato anche della seconda stagione, ma qui non diciamo di più. Segnaliamo la presenza di una monumentale Robin Wright (il milfometro segna i valori massimi, siamo in zona Demi Moore), moglie del protagonista e con lui componente della classica coppia di potere. Intanto rimaniamo fermi agli angeli del focolare, ai santini di De Gasperi e al piccolo assessore siciliano che è l’emblema di tutti i mali del mondo e che quasi ringrazia quando arrivano i ‘nostri’. Una rassicurante cultura da Italia di Rai Uno, che era stata messa in discussione solo dalla Piovra e che il partito unico non ha interesse a scalfire. A meno che gli 80 euro in più al mese non vengano usati per abbonarsi a Sky. Perché, prima di dire che gli Stati Uniti sono il paradiso, bisogna ricordare che House of Cards non è rivolto a un pubblico generalista nemmeno lì, visto che è prodotto e venduto direttamente da Netflix.

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