Il veleno delle religioni

21 Marzo 2014 di Stefano Olivari

Dio non è grande, non fosse altro che perché è un’invenzione umana e neppure in buona fede. Non c’era bisogno di Christopher Hitchens per spiegare l’inconsistenza logica, storica, etica dei libri su cui si basano le principali religioni, non solo quelle rivelate ma anche quelle che apparentemente si rivolgono ad esseri dotati di un pensiero critico. Però Hitchens ha (anzi aveva, visto che è morto 3 anni fa) una capacità di arrivare al punto che è propria dei grandi giornalisti, anche quando si occupano di teologia. Cioè uno dei suoi tanti campi d’azione professionali, diventato quello preminente dopo tanti reportage di guerra per guerre combattute senza un perché diverso da qualche pagina scritta da chissà chi secoli dopo l’arrivo in questo mondo dei vari presunti messia o profeti, da Cristo a Maometto solo per citare i più popolari. Il giornalista inglese, nel corso della vita americanizzatosi, è stato da molti definito ‘liberal’ (anche sulle alette dei libri) in senso americano (cioè Bob Kennedy, non Renato Altissimo), ma in realtà lui stesso si è sempre dichiarato marxista. Nell’analisi della realtà, anche se non sempre delle soluzioni.

Il suo ‘Dio non è grande – Come la religione avvelena ogni cosa’, editato in Italia da Einaudi, è senz’altro un libro che ha generato meno dibattito di quelli durissimi su Clinton e Kissinger ed è in qualche modo apparentabile, visto che ne riprende alcune parti, a quello su Madre Teresa. Il motivo sarà evidente a chiunque lo abbia letto: Hitchens non entra infatti in dispute teologiche in maniera provocatoria, facendo la parte dell’ateo da salotto, ma analizza i testi fondamentali delle principali religioni. Evidenziandone la creazione umanissima e le assurdità storiche o anche solo cronologiche, non confrontandole a Wikipedia ma a parti degli stessi libri sacri. Niente di sconosciuto, ma chissà quanti cristiani pensano che i Vangeli siano stati scritti poco dopo la morte di Cristo (quasi tutti quelli da noi interrogati) e quanti musulmani sono convinti che il Corano arrivi da Maometto (fu scritto da ignoti vari decenni dopo la sua morte ed in ogni caso Maometto era analfabeta). È evidente che le religioni, anche quelle apparentemente meno minacciose o assurde, siano uno strumento di controllo sociale e di potere e che come tale dovrebbero essere analizzate. Senza la sudditanza psicologica di molti laici, mascherata da ‘rispetto per i credenti’, come se credere in qualcosa di artificiale fosse di per sé più nobile che essere convinti della finitezza della nostra esistenza. Una sudditanza che si manifesta anche verso ebraismo, induismo, buddismo o culti neo-pagani: Hitchens non oppone una ‘vera ‘ religione ad un’altra, non fa il crociato per nessuno, ma schiera la ragione contro la pavida sospensione del giudizio.

Hitchens cambia passo quando dopo l’analisi dei fondamenti, si fa per dire, delle religioni e dei loro effetti pratici sulla vita delle persone (sensi di colpa, tristezza, guerre), parla dei loro singoli esponenti. Qui oltre che interessante è anche divertente. Avendo vissuto molto negli Stati Uniti, tende a sovrastimare il fenomeno dei telepredicatori, ma i suoi giudizi non possono lasciare indifferenti. L’aspetto fondamentale della questione religiosa, che riguarda anche quel poco che rimane della democrazia, è che chi è religioso ha la pretesa di piegare ai suoi dogmi anche la vita di chi religioso non è, mentre evidentemente non vale il contrario: nessun ateo, o anche ‘soltanto’ agnostico, pretende di cambiare la vita di un mormone o di un musulmano e nemmeno ha interesse a fargli venire dei dubbi. Al massimo l’ateo può sperare che suo figlio non cada in queste trappole, per paura, per noia o perché la sua vita fa schifo. Nel libro ci sono poi anche acute considerazioni sul sincretismo e soprattutto sul rispetto, al di là delle guerre, che esiste fra i maggiori culti: aziende che si rivolgono allo stesso mercato, cercando di strapparsi i clienti, ma che non vogliono distruggere il mercato. La fede, anche in un cactus, è secondo questa ‘logica’ quindi sempre migliore del non credere in nulla. Hitchens si rende ben conto che per le masse la religione è spesso una necessità, anche solo per avere una direzione di marcia, ma non non è che questa sua ‘utilità’ (il giornalista ebbe con Tony Blair, dopo la sua conversione al cattolicesimo, una interessante disputa sul tema) la renda più ‘vera’. Alla fine l’unica certezza, dopo la vita, è la morte. Dio e Allah hanno punito Hitchens facendolo morire di cancro all’esofago a soli 62 anni? Ci sono milioni di credenti morti in maniera anche peggiore.

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