Il Forum e i giardinetti

7 Gennaio 2014 di Giorgio Specchia

Gli ottomila spettatori di una settimana fa al Forum, per una partita non certo di cartello come Olimpia Milano-Avellino, hanno dimostrato che Armani dopo quasi dieci anni di sponsorizzazione e sei da proprietario, è riuscito nell’impresa più difficile per chi fa pallacanestro in Italia: creare un pubblico nuovo, unendo i nostalgici del tempo che fu con ragazzi per i quali questo sport è cominciato l’altro ieri. È banale ma doveroso ricordare che gli ottomila di oggi, sia pure pompati da promozioni e iniziative varie (ma fare promozione è un male?) hanno un peso specifico superiore a quelli di trent’anni fa (che poi nelle partite medie ottomila non erano mai: e il Palazzone di San Siro non era ancora crollato…), per la quantità di alternative a disposizione. Rispettiamo questo pubblico e tutti quelli storici (il caso Fortitudo è quasi incredibile), così come rispettiamo le decine di migliaia di amatori che si spaccano le caviglie su campi e campetti, soltanto per inseguire un sogno e una passione. Anche fuori tempo massimo: l’investimento del direttore di Indiscreto nelle Nike Ginobili non lo ha preservato da infortuni vari e dalla mitica pubalgia. Anche se il massimo dispiacere l’ha avuto prestando la sua maglia numero 8 ad un ragazzo incapace di apprendere (non a caso fa il giornalista) il passo e tiro nonostante le spiegazioni di un allenatore campione d’Europa (Geas 1978) come il nostro amico Fabio Guidoni…  Rispettiamo meno tutto ciò che sta in mezzo: cioè il semiprofessionismo sfigato, con un pubblico di poco superiore ad amici e parenti, proliferato quando l’economia italiana, in chiaro e in nero, funzionava ed in parte arrivato fino ai giorni nostri. Proprio stamattina uno dei miracolati di questo sistema ci ha di nuovo criticato per un articolo sul tema, pubblicato quasi un anno e mezzo fa su Indiscreto e segnalatogli da chissà chi per colpa di Google. Un articolo che aveva sempre su Indiscreto ispirato una interessante replica di Toni Cappellari, uno dei migliori dirigenti della storia del nostro basket, e meno interessanti insulti da parte di giocatori che si scandalizzavano per la morte di realtà senza alcuna ragione economica (e meno che mai sociale, tranne che per i settori giovanili) per esistere, come ad esempio quella del Cmb Rho. Da polemica locale gli insulti sono diventati nazionali, perché da Bolzano a Catania questa curiosa percezione del ‘diritto’ di essere pagati per giocare a pallacanestro (o per suonare l’oboe, o per organizzare mostre sugli Etruschi, eccetera) è molto diffusa. Ebbene, visto che è passato un anno e mezzo possiamo ri-dirlo senza inflazionarci: se nessuno vi paga per giocare a basket significa che il vostro basket interessa solo a voi e ai vostri amici. Se davvero avete, allenatori e giocatori, tutta questa passione, autotassatevi e con poche migliaia di euro la FIP (o il CSI, se volete risparmiare ma rimanendo in una realtà seria) vi accoglieranno a braccia aperte. Arrivare alla fine del mese è dura? Ci sono sempre i giardinetti, con i loro canestri quasi sempre liberi: venite, in uno di questi ci troverete. E a fine partita potrete continuare a a dire che Tom Heinsohn era sopravvalutato, che Phil Jackson non capisce niente di tattica e che Wade fa sempre passi.

Stefano Olivari e Giorgio Specchia (dai giardinetti di via Dezza intitolati a Mario Borella, con il wi-fi). 

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