Il mondo di Mario Fossati

3 Dicembre 2013 di Oscar Eleni

Oscar Eleni nascosto in una strada laterale di corso Sempione a Milano per salutare, piangendo bene, il passaggio della bara di Mario Fossati, un grandissimo del giornalismo non soltanto sportivo, portata verso la chiesa in Cagnola, un quartiere dedicato all’architetto che prima fece con il legno il suo Arco del Sempione e poi fu premiato con la possibilità di metterci il marmo e farne un monumento alla pace e alla libertà che potete godervi di giorno e di notte. Fossati per ricordarci di come avremmo voluto essere  senza mai riuscirci, salvo forse nel ruvido contatto con i profanatori di qualsiasi tempio. Al primo incontro, Sei Giorni ciclistica di Milano, nel palazzo della Fiera che, secondo lui, ma anche per tanti rubiniani convinti, poteva essere la vera casa del basket, ci trattò malissimo. Chiese un’informazione al diciannovenne che lavorava per Sport Informazioni. Non fummo precisi. Se ne accorse e la presa in giro durò per tutta l’americana dove Post stava trascinando Gianni Motta per il delirio della gente. Rosso peperone, furore interiore mitigato soltanto dalle battute di Flora Gandolfi che stava vicino a Marion. Sembrava una notte da incubi. Fine  giornata, cena a bordo pista con Molteni, lo sponsor della coppia d’oro. Fossati ci prese per un braccio e chiese a Molteni di invitare anche il “ bocia” sperduto come i suoi compagni nella bufera dell’Armir, del gelo russo, della maledizione degli unti da un signore che Mario ha sempre maledetto, comunista di quelli veri, anche se non proprio da viva Stalin. Detto, fatto. Che serata. Altro che incubi. Poi strade quasi separate, salvo che alle Olimpiadi. Poi “paciate” magistrali come faceva coi suoi ciclisti, col Brera, mitico il loro cestino da corsa al Lombardia che Franco Grigoletti descriveva come il dolce inferno di qualsiasi fegato bennato. Si discuteva su tutto. Unica separazione non consensuale sul Vigorelli che i Gabetti volevano coprire e fare diventare arena per basket e ciclismo su pista. Per lui era profanazione. Vinse. Ma il Vigorelli non è più da tanto tempo un tempio del ciclismo su pista, come gli dirà al primo incontro il suo amatissimo Antonio Maspes,  un campione che lo faceva delirare come Fausto Coppi, anche se  nel suo cuore tutti i corridori erano certamente primi, molto più di chi lucrava sulla loro fatica e ancora oggi farnetica sul doping senza voler ammettere che non ci sono competizioni leali se tu puoi pagare due, tre volte di più di un altro, se tu mangi segale e gli altri caviale. Vecchia storia che non entra nella testa della gente che sull’antidoping arricchisce, come questa delle frange ultras che vogliono comandare  alla loro maniera: col terrore, l’insulto ai tuoi se non fanno l’inchino.

Felici che a Varese abbiano reagito e che il signor Cimberio abbia detto che, nel bene e nel male, si deve stare insieme, non contestare. Mettere alla gogna il mercato di Varese, per far capire a suocera e nuora che Frates non sarà mai il loro allenatore preferito, è davvero pericoloso. Lo sapevano che c’erano meno soldi e non si poteva rifare la squadra dell’anno prima. Vitucci non è stato cacciato. Ha scelto dove gli davano di più. Tutto qui, ma per fortuna contro la Cimberio contestata da pochi, applaudita da molti del vero cuore “Forza Varese” c’era questa Pesaro che combatte davvero una partita impari contro chi ha di tutto e molto di più.

Sarebbe come se a Milano avessero preso di traverso Luca Banchi, il nemico che la batteva spesso e volentieri, in coppia con Pianigiani che non fu ingaggiato, si dice, si mormora, perché costava troppo, e certa gente, come accadeva con gli aerei mostrati al dittatore, sempre gli stessi, ma fingendo che fossero molti di più, si compiace di mostrarsi virtuosa nei conti, nelle scelte, anche se poi qualcuno,un bel giorno, magari dopo la prima vittoria della gestione che sembra vicina anche dopo certe figuracce come a Roma, li farà davvero questi conti e si scoprirà che l’Olimpia armanizzata non ha speso certo meno delle spagnole, delle greche, del CSKA, di Siena, dei colossi che ha sfidato senza mai battere in tempo di pari opportunità economiche. Banchi costa meno perché nel suo sangue c’è voglia di rivoluzioni, di battaglie difficili. Sapeva che dietro la squadra non avrebbe trovato il muro necessario per tenere lontano dal compiacimento un po’ borghesuccio del “ tanto mi basta”, “tanto i conti si fanno alla fine”, di quei giocatori di nuova generazione che rispondono bene soltanto alle famiglie, agli agenti, ai presunti amici, molti dei quali speculano sul litigio per farsi belli, pur sapendo di essere vili e non virtuosi, che diventano bufali con ironie non capite e con arbitri che non riusciranno mai a capirli.

Tempo di veleni senza sugo. Basta non essere d’accordo e provano ad isolarti. Meglio. Cosa dire a quelli del Forum che non trovano spazio su una bancarella da sottoscala per mettere i libri scritti in memoria della vera Olimpia, del grande e Indimenticabile Rubini? Dicono che la colpa sia di chi dirige l’antro maleodorante di Assago. Strana debolezza della società sportiva, che paga così tanto per viverci da imbattuta in questa stagione, almeno fino ad oggi. Non c’è niente di personale per chi scrive gratuitamente un libro su Rubini. Vogliono usarlo per farne una fondazione cha aiuti giovani allenatori, giocatori. Ci fa rabbia soltanto per quello, mentre ringraziamo Marco Pastonesi che, in una delle manifestazioni che affiancano la genialità di Franco Ascani con il suo Festival del Cinema Sportivo, farà leggere a Sergio Meda, coautore del lavoro, qualche pagina del libro che Valerio Bianchini considera davvero asciutto e non retorico, come sarebbe piaciuto al Principe. Bianchini che  ti fa i complimenti? Succede. Anche noi lo abbiamo elogiato spesso, almeno quante volte lo abbiamo criticato. Certo, lui ha il vantaggio di aver quasi sempre stravinto. Destino dei grandi come Recalcati che prima di affrontare Milano al Forum entrerà da cavaliere della Repubblica nelal sala dove il Comune gli assegnerà l’Ambrogino d’oro. Il basket ha idee, ha personaggi, ha gente per bene, peccato che nei giornali sia considerato come la peste per i suoi orari demenziali.

Certo non ti guadagni vantaggi se metti insieme seratine come quella di Roma: da una parte Lazio-Napoli nella bufera calcistica del dopo Varsavia, delle contestazioni, dall’altra la palestrina di viale Tiziano con tante seggiole vuote. Laziali affranti, Virtussini del ramo Toti oltre le visioni di Czestokowa dopo una partita dove era chiarissimo il peccato originale nella costruzione della nuova Acea dove molti pensavano di farla franca giocando soltanto per le loro misere cifre. Confronto da brividi come pubblico, incasso, atmosfera. Metteteci la tortura della visione in streaming, genialità legaiola per nascondere il picche ricevuto dai media televisivi di ogni genere, e sarete con noi nello stesso angolo buio, in questo inferno dove non bastano neppure le petersoniane cadenze, i suoi lazzi che  non fanno certo ridere chi deve fargli da spalla e prega che Sky se lo riprenda al più presto. Sono tempi cupi per il Nano Ghiacciato adesso che la ciurma degli onesti, tutti quelli che hanno lavorato davvero per i suoi successi sono pronti a scrivere davvero il libro sullo Smemorato di Evanston che nel suo ultimo lavoro ha fatto un altro buon servizio al nostro basket, a chi lo studia o lo insegna, ma non certo all’idea che in troppi si sono fatti di quest’uomo che vantandosi dice sempre che dopo l’amore si scarica e si regala, al massimo, un gettone per chiamare un taxi, ma usando la cabina telefonica sotto casa, non  il privato pur pagato dalla Virtus come dicono i cantori antiretorica. Roma e quegli angoli bui che la telecamera non riusciva a prendere. Brutta roba se in casa hai il filmato delle sfide scudetto  Roma-Milano, Bianchini-Peterson dei tempi in cui si riempiva l’EUR. Lo avevano capito già nel 1960 che il basket era per l’EUR quando contava davvero, mentre per le qualificazioni andava bene pure viale Tiziano.

Esiste una spiegazione che certi quarti di luna storta dell’Emporio Armani? Forse. Kaunas e Roma come filotto della palla a te non la darò mai, del palleggio come suono per storditi da troppe ore passate prigionieri delle cuffie. Vero che questo basket è per individui, al massimo coppie, mai per squadre dove la palla circola, esattamente come le idee, come deve essere fra chi cerca fraterne complicità sul campo e fuori. Servono regole mutuate dall’esperienza del passato. Non ci sono. Non possono esserci. Certo che Milano arriverà in fondo a coppa Italia e finali scudetto. Sull’Europa, lo abbiamo già detto, tutto cambia e non te la cavi con l’uno contro cinque, con una difesa che Moss sa animare, rendere feroce, ma che appena la tigre si stanca e il maestro si gira, diventa  finta come troppe cose in quella  famiglia che vorrebbe essere il Mulino Bianco e, al massimo, sembra  invece il regno di Calimero. Gli va bene che Siena sta per perdere il suo Lancillotto Hackett, per bilanciare entrate ed uscite.

Certo dovrà fare attenzione a Sassari che, però, è sempre la stessa zuppa: quando il tiro entra sembra squadra stellare, se deve difendere un vantaggio la scopri fragile, nervosa, riottosa. Poi ci sarebbe Brindisi. Piero Bucchi in testa alla classifica, addirittura sei punti in più della Milano lasciata a malincuore come gli anarchici cacciati da Lugano senza colpa. Non accadeva da 26 anni di avere al comando una squadra in rappresentanza del basket sudista. Capolavoro. Cosa dicono i giocatori: stiamo bene insieme, la palla circola. Ecco Pulcinella e i suoi segreti. Poi ci sarebbe Cantù, ma, a parte i vantaggi del fattore campo in arene piccole, nessuna di queste rivali ha la stessa forza in organico. Sassari forse sì, ma non esistono successi se ti manca la fede nel famoso detto che l’attacco vende i biglietti, ma la difesa porta i titoli.

Da un funerale all’altro. Da Marion Fossati a quello del basket mediaticamente malservito, per finire sull’attenti davanti al feretro del Dante Trombetta, figura mitica del basket varesino, l’anima della Robur et Fides, l’uomo che alla squadra in difficoltà gridava sempre e soltanto una cosa: ”Alè fioeuu”. Pazienza se è scritto male il dialetto bosino. Era l’essenza di un mondo, di un modo di allevare giocatori, tenere in piedi società, un gigante.

Pagelle nella mestizia del ricordo e del rimpianto, della rabbia per questi ottusi che con le loro piccole vendette da Fanfan Fanfaron fanno diventare carbone anche il poco oro del fiume.

10 A Marino ZANATTA, guardia scelta della vita da non barattare mai col compromesso, per aver sintetizzato bene questa frattura fra chi vuole godersi il basket e chi vorrebbe comandare lo sport  dalle tribune lucrandone una credibilità che non ci sarà mai per chi va al campo ad insultare gli avversari: ”Bello lo sport soltanto quando il tifo è spontaneo. Bella la reazione di Varese, ma temo che sarà un caso sporadico”. La riprova? C’è subito l’eurolega per capire Firenze, Siena e Milano, poi tutto il resto del mondo basket a leggere le motivazioni per  le multe. Sempre la stessa litania come dice sconsolato Meneghin. State sicuri che qualcuno di questi vi chiederà: chi sono Meneghin e Zanatta per darci lezioni? Lo abbiamo sentito anche quando sul libro di Pedrazzi per le Scarpette Rosse c’era il puro impuro che si chiedeva se nello stile Olimpia era compreso il rifiuto del guerriero Meneghin di essere sempre dalla parte di chi si sentiva sputare addosso.

9 A Daniel HACKETT che sembra diventare più bravo dopo ogni fatica. Anche quando sbaglia, adesso, è il primo a cercare una soluzione che rimedi all’errore. Ci è mancato in Slovenia, mancherà tanto a Siena, ci mancherà se lo porteranno verso il Bosforo prima della NBA che è sempre stata la sua malattia infantile.

8 A Dante TROMBETTA per quello che ha lasciato in eredità sportiva a tutti quelli cresciuti nella Robur et Fides di Varese. Questa gente dovrebbe entrare d’ufficio nella Casa della Gloria che lunedì prossimo celebrerà a Roma i campioni europei di Nantes e fra quelli ci sono tantissimi che sanno cosa è stata la Robur et Fides, per averci giocato anche contro. Un po’ come la Livorno Portuale o del Boris.

7 A MORDENTE e MICHELORI che paragonati ai tanti virgulti mandati sull‘onda  del futurismo senza arte, facendo spesso come quella deiezione che se monta troppo puzza o fa danno, perché nel momento in cui Caserta aveva davvero bisogno e una brava persona come Molin era nei guai, si sono ricordati di essere nati corsari, vecchi Ronin del parquet.

6 Al RICHARDSON che fa respirare Avellino, anche se non saremo mai dalla parte dei giocatori che risolvono da soli le partite e per questo pretendono di avere ogni pallone. Poi ti basta un Langford sfuocato da 1 su 10, paturnie che Scariolo conosceva bene anche se è vero che non lo capiva, per andare nel sacco della zona di Roma come è capitato all’Emporio del giorno delle marmotte. Per fortuna Avellino vola più basso e per adesso si accontenta di stare in agguato come la Venezia dove Markovski ha già scoperto che non tutto dipendeva dal Mazzon pensiero.

5  A COBY KARL che sembra l’unico a voler smentire il grande George, suo padre, ex allenatore e Denver, quando descrive la Grissin Bon una squadra piena di talenti.

4  A SIENA e MILANO le nostre squadre di eurolega per aver preteso un calendario agevolato che, ad esempio, le spagnole non hanno quasi mai avuto anche se fanno generalmente meglio delle nostre. Come ha dimostrato Banchi contro Reggio Emilia, si può andare forte  anche dopo 48 ore da una fatica sul campo. I tornei europei sono anche più duri, si gioca ogni giorno. Motivo di tanto risentimento? Beh la gente si confonde in questa Lega a dimensione nano.

3 A James DOLAN padrone dei KNICKS in rottura prolungata per essersi vendicato di uno “sgarbo” del grande Woody Allen negandogli il box dei vip. Quando venne a Milano con la sua squadra allenata dalla vittima designata D’Antoni, ostaggio poi triturato dal solito Carmelo che ora fa rimpiangere a Bargnani la Toronto che, senza di lui (un caso anche questo, caro Peterson ?), va molto più forte, restava sempe in disparte, ma di sicuro ha lasciato i suoi appunti in una suite e qualche solerte tirapiedi deve averli portati nella sede al cloro Lido perché in molte scelte questo Emporio sembra simile agli arancioni della grande  mela.

2 Agli ITALIANI da far giocare a prescindere come vorrebbe chi è pronto poi a preparare il fiocco  sul biglietto di congedo per gli allenatori  cacciati dopo aver scelto il rischioso azzardo. Certo che ogni tanto fanno bene, benissimo vi direbbero Aradori, Melli, Ale Gentile, ma poi capita che diventino vapore come potrebbero spiegarvi tanti altri. Giocare serve, ma per farlo devi conquistarti tutto in allenamento e poi, soprattutto, quando vai sul campo.

1  Alla DITTATURA dello straniero egoista e, spesso, anche ignorante. Se i prorietari non spalleggiano allenatori affondati dall’individualismno e dal  narcisismo avremo squadre sfasciate dove verranno rovinati anche certi talenti. Dite la verità, voi che eravate a Roma: cosa pensavate dell’ACEA dei primi tre quarti? Si potrebbe andare avanti così  pensando ad ogni partita e Bologna, che aveva riscoperto una Virtus virtuosa, ha fatto una gran corsa  per riaprire il  cinema Paradiso che non è locale adatto a questa Granarolo da settimo, ottavo posto e  soltanto se non ascolterà mai un complimento dei soliti noti: il clan della carota piccola e del bastone lungo.

0  Al CRIPTATO  a prescindere. Vedere Roma-Milano sul computer, grazie allo sforzo della rosea con pochi orgasmi, ci ha fatto venire il magone. Sembrava uno di quei film dove ci sono eroi che tornano sulla terra dopo la catastrofe ecologica da noi procurata. Meglio quello di niente? Probabilmente è così, ma vi rendete conto dei passi indietro di chi vorrebbe avere lo stesso spazio dei tempi in cui la Lega faceva battaglia comune per avere visibilità da chi era sensibile al messaggio forte e dei paginoni di pubblicità?

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