Lo smemorato di Evanston

19 Novembre 2013 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dal convento fiorentino di Sant’Anna per scoprire un’adorazione dei  Magi nello stile Peterson per i suoi nuovi mecenati. E  al diavolo quelli vecchi, chi lo ha sempre coperto, protetto, aiutato. Avanti il nuovo anche se ti usano come portantino per il trono. Nello stesso convento, poco prima della congiura dei Pazzi, un apprendista pittore scoprì che oltre alla lussuria del piacere esiste anche la lussuria del dolore. A questa si saranno ispirati tutti quelli che hanno scelto di dedicare la loro vita terrena a fare gli allenatori, a guidare gli altri, ad insegnare, trovandosi fra i piedi molti “Pazzi”, travestiti da giornalisti, spettatori e tifosi, genitori, persino giocatori o presunti tali. Ci vuole uno stomaco forte per sopportare tutto, ma anche per soportarli perché gli allenatori sono i figli dell’egocentrismo, piccoli Napoleone a cui non devi mai ricordare i soldati che hanno lasciato sul campo, mai far sapere quanto non erano capaci di comprendere situazioni, ambienti. Loro hanno un altarino dove vanno  a pregare, ogni candela accesa un successo, non si curano di quelle spente, per colpa del tempo, del vento, del bayon.

Ora può capitare di finire citati nei loro libretti e sull’ultimo lavoro di Daniel Lowell Peterson, scritto con Dino ‘Rutta’, ci hanno messo dentro, pazienza se come Elleni, ma la cosa dolorosa è vedere come la verità venga negata, come certi ricordi servano per rendere luminosa l’icona, ma non vera  la  storia dell’Olimpia. Possono censurare, tagliare, mettere tutto come piace a chi paga o a chi dovrà pagare, ma chi c’era sa come sono andate le cose e non si fermerebbe mai ad una battuta disperata fra un tempo e l’altro tanto per scacciare il malocchio.

Sarebbe troppo facile, adesso, dire che l’Emporio Armani vestito come i Tuareg (nella storia la parola dice che tuaregh vuol dire abbandonato da dio) sta lavorando in un cantiere dove si sono dimenticati gli elementari sistemi di sicurezza: dai caschi alle reti protettive, passando per il paraocchi per non vedere che costruendo il muro alla gente piace questa anima difensiva di Milano anche se non tutti sono davvero convertiti. Ma si può speculare sulla lussuria del dolore, ci si è dimenticati di far sapere a tutto il personale che quella deve essere una casa dove la palla, come le idee del gioco, deve circolare. Nel cantiere troppi buchi per terra, troppi galletti dalla cresta povera.

Lo sanno tutti che questo campionato sarà di Milano. Quando entreranno Gigli e Kangur, perché dovranno entrare, diteci voi chi può reggere il colpo, una battaglia tipo playoff. Certo nelle gare  secche, tipo coppa Italia, può essere diverso, ma in quei giorni di febbraio al Forum vedremo casa e giardino del Luca Banchi confinato al Portello dove ancora per poco gironzolerà il Galliani tifoso di basket e scaricato dal Milan con lo stile Peterson per tutti coloro che fecero diventare oro quel periodo magico di basket milanese. Nell’Eurolega tutto sarà diverso. Più solidi gli avversari, ma proprio perché inattesi, magari, avremo un oasi speciale per questi ragazzi dell’Emporio che ora giocano in blu, perché si pensa che il profumo  e il colore dei Tuareg vestiti da re Giorgio potrà essere venduto meglio dei banalissimi colori, quello rosso Olimpia e il bianco che sono poi anche i colori della città dopo il Moro. Non pentitevi come nel dopo Bucchi che adesso vi farà venire l’ossesione visto che guarda Milano dall’alto insieme al Bechi da sbarco e al Marco Crespi altro cucciolo di poeta coltivato a Milano quando le leggi del gruppo andavano oltre il super-io spigolo dei giocatori del faccio tutto io, di quelli che ti dicono sempre “prendilo tu” al momento della penetrazione e non certo con lo spirito rubiniano dei tempi in cui una crisi difensiva, una sconfitta portava a cambiare  scenario.

Milano che perde  in trasferta, dove affronta gente che considera la partita come trampolino per cambiare la propria vita, non sconvolge più di tanto. I conti si faranno alla fine. Chi ha panchine corte avrà pure fiato corto e poi non è detto che chi comanda adesso sul campo ci sia anche nei momenti decisivi. Certo fa venire l’angoscia questa ricerca infruttuosa dei giocatori che possano distribuire pani e pesci. Nella piccola storia armanizzata hanno provato a spacciare  come grandissimi registi, come uomini capaci di far cadere dal tetto la maglia di Mike D’Antoni, moltissimi perforatori di legno duro, tiratori senza limiti, ma poi hanno dovuto rimangiarsi tutto come potrebbero dire Bogoncelli o Gabetti allo smemorato di Evanston.

Lega lombarda dei cesti quasi in rotta,col successo di Cremona su Cantù una doveva pur stare a galla. Milano in mimetica deve subito uscire dal bosco senza fischiettare troppo. Per Varese siamo al solito errore di prospettiva. Con i soldi in  cassa non poteva essere costruita una squadra migliore di quella dello scorso anno. Ora se la prendono con Fabrizio Frates che non è  sempre piaciuto a tutti , in tutti i posti dove è andato, e anche chi lo rimpiange ti fa  sempre capire che in certe cose sbagliava. Ora diteci voi se il Polonara che va dal top a zero può essere vittima dell’allenatore dai tre sorrisi tipo l’ispettore della stagione in Hugo Cabret? Scaricare tutto sul Clark anonimo varesino è pericoloso  e fa sentire al sicuro chi dovrebbe pensarci bene prima di nascondersi nella lussuria del dolore.

Per Cantù era abbastanza logico aspettarsi che il dopio impegno, allenamenti, viaggi, campionato, avrebbe fatto saltare qualche cicrcuito interno, quelli delicati che Pino Sacripanti sa aggiustare meglio di ogni altro perché conosce la parola sobrietà nel lavoro, nelle richieste, nei desideri ed è uno che si accontenta, facendo diventare vincente una nazionale giovanile dove mancavano tante cose. Cantù deve cominciare a vincere la partita fuori dal campo: società, scelta decisa per il palazzo che è ancora lettera morta. Per adesso fa bene a tenersi coperta.

Ehi fratacchione, hai spolpato Milano e la Lombardia, ma fuori succederà  ben qualcosa. Certo. Pensate a Roma. Anche in viale Tiziano si erano illusi di avere una squadra più forte dell’anno scorso. Sbagliato. Con Datome potevi parlare, lui capiva, sentiva la gente, adesso sono pochi quelli che si esaltano davanti a troppi  seggiolini vuoti, a troppe facce da convento o da strano equilibrismo fra passato e futuro che è poi la prigione per tutti. Negare cosa c’è stato prima non aiuterà mai. Crea soltanto figli e figliastri, muove rancori, non promuove idee che coinvolgano davvero i popoli a cui si offre poco per farsi capire ed apprezzare. Non  tutto quello che luccica viene scambiato per oro da chi conosce certe storie.

Sia messo a verbale del  convento dei lussuriosi con dolore che era stato detto subito che andare sulle panchine di Roma, Varese, persino quella di Cantù, sarebbe stato molto difficile. E’ scritto sulla sabbia che ad Avellino non stanno vivendo con lo stesso entusiasmo del passato questa rivoluzione con Vitucci che, comunque, uscirà presto dal covo. Non possiamo essere sorpresi se Pesaro e Dell’Agnello si battono alla grande fino alla fine, ma poi cedono per sfinimento. La loro vera colpa è la povertà di bilancio, non di idee e buoni allenamenti.

Sul Molin di Caserta tutto da rivedere dopo quel pasticcio con l’americano sospeso. Lasciateli lavorare in pace, aiutateli, la pressione fa sbandare e i veterani italiani aiutino chi non conosce questo territorio di basket a palle sgonfie.

Markovski, un genio che sa vivere, insegnare, che ha sempre avuto classe e tocco magico, ha dimostrato che Mazzon non capiva più  niente della  squadra che gli ha dato Brugnaro? No. E sarebbe lui , Zare nostrum, a dirvelo. Ha scoperto che qualcosa poteva esssere fatto per far venire dubbi all’Emporio pieno d’incertezze nelle gerarchie interne, ma prima di pensare alla Reyer come una protagonista, cosa che sembrava evidente all’inizio della stagione, aspettiamo di capire se certi pentimenti dureranno nel tempo. Le mascherine a Venezia sono minacce oltre che fonte di letizia. Pagelle dall’oasi dei guerrieri blu di questo deserto.

10 A Luca VITALI perché il suo modo di combattere il pregiudizio, in noi fortissimo per un giocatore che aveva più presunzione che voglia di soffrire pur con mezzi tecnici notevoli e testa fina, sembra il migliore. Non se la prendano i vassalli di Proli, il Luchino da tiro libero e testa alta ha giocato per la Reyer, un po’ per se stesso, mai per vendetta.

9 A Jerome DYSON la luce di Brindisi.

8 Alla LEGA NAZIONALE PALLACANESTRO invisibile per televisioni ottuse. Può sbandierare buoni incassi su campi quasi sempre pieni dalla serie Oro alla quarta categoria. Sono numeri e allora li faccia conoscere al Palazzo, ma intanto  provi a migliorare tutto. Biella, Torino, Bologna Pala Dozza, il Sud in generale, fermento ovunque. Cavalchino con orgoglio.

7 A Paolino MORETTI che deve salvare Pistoia pur avendo in mano soltanto una fionda e qualche pietra. La cosa importante è che la gente e la città stiano dalla sua parte. E’ stato bravo a resistere quando poteva andarsene da vincitore, ora, anche se  dovesse perdere ancora tanto, per noi resta un tipo che merita affetto, stima, come del resto il tigre Dell’Agnello. Sanno cosa è la fame e la povertà. Sarà interessante studiare tutto questo a bocce ferme salutando chi perderà la serie A.

6 A Luca DALMONTE che nel giorno del doloroso ribaltone romano, partita dominata e poi perduta contro Bologna, è andato davanti a tutti mettendoci la faccia e chiedendo ai suoi giocatori, magari Hosley , di fare altrettanto con la gente che, non è difficile capirlo, pensa più a Calvani che ai Toti.

5 Al PRIMO PAPPAGALLO che davanti alle prestazioni dei ragazzi italiani, dai notissimi Gentile, Melli, per finire a Imbrò e Fontecchio parla di NBA: lasciamoli crescere mangiando questo pane nero, non può essere un obiettivo andare a giocare a Detroit per uno, tre, sei minuti nel tempo dove la gente pensa a come scappare dal parcheggio.

4 A Luca BANCHI per questo miscuglio di quintetti dove sembra tutto ancora provvisiorio. Sarebbe già ora di far sapere quali sono le regole della casa senza che ci siano scappatoie, momenti di separazione per ascoltare il tintinnare dei dobloni, il profumo della reggia. Aveva promesso ordine e progresso, come dice la bandiera brasiliana. Per ora c’è soltanto la conferma che questa chiesa si costruirà su gente che non sta in vetrina a mostrare muscoli o artigli.

3 A Piero BUCCHI se dimenticherà tutti gli sgarbi che gli hanno e gli abbiamo fatto. Deve andare avanti cattivo come una murena brindisina, sta facendo cose importanti che si legano alla sua storia al di fuori delle grandi città e delle grandi squadre a anche se lui vi direbbe che Milano e Roma non sono state tanto peggio di Napoli o Treviso. Va bene, dica quello che vuole, ma resti bello furente. Ci fa divertire questo volo di chi gioca nel pala Pentassuglia.

2 Al VOCABOLARIO delle telvisioni digitali, paraboliche, via cavo, al blog in diretta perché ci stanno frantumando con i canestri sputati, la perfetta parità (ne esiste una imperfetta?), alle slinguate per chi condivide lavagne e pensieri nascosti, al calmieramento degli animi, alla glorificazione di questo basket da uno contro uno, ai canestri con cuore di capitano, tutte balle. Ci servono belle storie,  giudizi sinceri su giocatori che fanno bene, ma anche molto male. Basta buonismo ecumenico, direbbe persino il Casalini che ora dovrà dirlo davanti ad uno specchio che ogni decisione degli arbitri è condivisibile perché il trillatore indegno stava vicino all’azione. Lo vada  a raccontare a chi vedeva le partite di Avellino, Mestre, Roma.

1 Al FALLO INTENZIONALE come fiume di separazione fra i buoni e i cattivi in un gioco di contatto. Ne abbiamo visti di ogni tipo, come direbbero le signore dei casotti di un tempo. Non c’è una logica comune. Serve una nuova riunione plenaria e se non sono ipocriti  aprano le porte non soltanto ad allenatori, capitani, ma anche alla stampa, così tanto per capire questo scaricabarile fra gente di campo e gente che sta ai margini.

0 Alla FEDEREUROPA che ha deciso troppo tardi di snellire la formula del campionato continentale. Ci avesse pensato prima forse l’Italia del nostro predicatore PIANIGIANI, che apre fronti ovunque cercando la mina per far saltare le porte delle palestre scolastiche dove, per la verità, devono entrare tanti sport, che offre il bene comune da Treste e Gorizia in su, sarebbe stata nel Mondiale che ci verrà a costare un occhio ancora prima di giocarlo, anche se certe morosità societarie stanno allarmando chi deve decidere

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