Messina un po’ stretto

27 Agosto 2013 di Stefano Olivari

Ettore Messina è un grande allenatore, ma per essere totalmente credibile (che non significa bravo) come scrittore di basket gli manca un requisito fondamentale: essere fuori dal giro. Non è che gli si chieda di fare come Salinger, cioé di pubblicare dopo la morte, ma insomma… Per questo il suo interessante Basket, uomini e altri pianeti (Add Editore, 2012) si fa leggere bene per la supercompetenza dell’attuale allenatore del CSKA Mosca e del coautore Flavio Tranquillo, ma lascia nella bocca dell’appassionato di pallacanestro un po’ dell’amaro gusto del già sentito: magari proprio da loro stessi, in televisione (memorabili le telecronache dai Giochi di Londra, peccato che Sky abbia mollato Rio) o da altre parti. Siccome un libro su una stagione da consulente di Mike Brown ai Lakers è per sua stessa natura riservato agli appassionati, il rischio doveva essere calcolato. Tanto è vero che l’opera ha avuto un notevole successo, in rapporto alle dimensioni dell’editoria sportiva.

Il libro è una sorta di diario di vita NBA vissuta dal di dentro, senza le tensioni di chi si gioca tutto (Messina nel 2011 era reduce dal mezzo fallimento al Real Madrid ed aveva comunque in testa di riprovarci in una grande europea) ma da un punto di vista sicuramente privilegiato: consulente del coach della squadra più amata e odiata del mondo e in certe fasi anche punto di riferimento della stella assoluta. Un Kobe Bryant che visto da fuori sembra la quintessenza dell’individualismo da marketing NBA, il signore dell’isolamento con quattro compagni a guardarlo a dieci metri di distanza, mentre visto da dentro risulta uno studente fanatico del gioco, della sua tattica e dei suoi dettagli: quelle situazioni che nella NBA sono lasciate pochissimo al caso, contrariamente al luogo comune, mentre nel racconto di Messina il luogo comune viene confermato nelle giocate finali delle partite. Lì non ci sono santi: palla in mano al fenomeno, sperando sia abbastanza intelligente da non andare contro il muro.

Messina-Tranquillo sono molto efficaci nel descrivere la routine quotidiana NBA, dai trasporti alla vita in albergo passando per le sessioni video: la parte più riuscita del libro è sicuramente questa (almeno per noi che un’esperienza del genere ce la sognamo), insieme a considerazioni tattiche non inedite ma comunque utili a chi pensa che nella NBA si giochi il basket dei campetti ma solo con gente molto più brava (a proposito dell’iperspecializzazione segnaliamo un’interessante intervista a Igor Kokoskov, c.t. della Georgia e assistente ai Cavs, pubblicata su Daily Basket). Un’idea fondata forse solo nelle squadre da tanking (cioé giocare come viene, per una stagione perdente in ottica draft) duro e puro… Molto efficace anche la descrizione degli stati d’animo in base all’ultimo risultato, in una stagione oltretutto ipercompressa (inizio a Natale, per il lockout): da Mike Brown all’ultimo dei collaboratori il coinvolgimento emotivo è massimo, forse superiore (Messina non lo dice…) a quello della maggioranza dei giocatori. Che però, nel libro, sono tutti professionisti serissimi e ragazzi simpaticissimi. Da lettori compulsivi di libri di pallacanestro abbiamo però il nostro gusto deformato dal tumore di questi libri, che si può sintetizzare in una parola: aneddoto. Ecco, noi che pensiamo (a torto) di avere visto e letto tutto siamo tossici dell’aneddoto. E in questo libro l’aneddoto pesante o anche solo la zingarata alla Meneghin-Zanatta mancano, in una realtà che Federico Buffa definirebbe (o l’ha già fatto?) da commedia skakespeariana: fratelli coltelli (e Jerry Buss era ancora vivo), senatori bolliti (Fisher), genii incompresi (Gasol), emergenti presuntuosi (Bynum), gente tesa al confine della D-League e ovviamente Metta World Peace.

Su tutto e tutti la carismatica ombra di Phil Jackson, quasi-genero del proprietario e guru indiscutibile invocato dalla folla una partita sì e un’altra… sì. Un Jackson che da scrittore è l’eccezione alla regola del ‘fuori dal giro’: nel suo ultimo libro, Eleven Rings, ne ha per tutti (non ai livelli dell’inarrivabile, anche perché inarrivabili erano i Lakers 2003-2004, The Last Season), da Jordan allo stesso Kobe,  e riduce anche al minimo le dosi di filosofia. Non è questione di coraggio da una parte e di paraculaggine dall’altra, perché Messina lo scrive chiaramente: certi discorsi privati devono rimanere privati. Però il suo libro è di alto livello e anche a un anno di distanza dagli eventi non perde forza. La scelta di non scrivere per tifosi o per ragazzini, due mercati nel loro piccolo sicuri, va premiata.

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