Settantadue chilometri nel deserto a Ferragosto

19 Agosto 2013 di Silvana Lattanzio

Chott el Jerid, sud della Tunisia. Ferragosto, il giorno simbolicamente più caldo dell’anno. Paolo Venturini decide di passarlo tentando una performance mai realizzata da altri prima di lui: attraversare il grande lago salato. Ultramaratoneta di grande esperienza, Paolo ha alle spalle un palmarès di tutto riguardo: 76 km nella Death Valley, 3° nella 100 km dei Faraoni, diverse partecipazioni alla 100 km del Sahara e nel deserto della Namibia. Un innamorato dei grandi spazi desertici, dunque, e nel sud della Tunisia si è messo nuovamente alla prova. In una gigantesca depressione bianca di sale, che riflette e amplifica il calore e la lucentezza abbagliante del giorno, Venturini alle 6.15 del  mattino parte per la sua lunga corsa solitaria, che attraverserà da nord-ovest a sud-est il deserto del Chott, seguito a distanza da un team di medici, psicologi, stampa e logistica generale. E’ presente anche la Tv nazionale tunisina che darà passaggi sull’evento in due edizioni del telegiornale. La temperatura ancora non è proibitiva, anche se inesorabilmente salirà fino a raggiungere i 48°C. L’umore è alto, la motivazione è forte, come anche la preparazione fisica e mentale. Ogni 10 km, check point itineranti fanno servizio ristoro con acqua, sali minerali, gel e datteri, mentre il team scientifico valuta le condizioni e la tenuta psico-fisica dell’atleta con test finalizzati. Tenuta psico-fisica che è ottima, anche quando imprevisti rendono rischiosa l’impresa. Alta tensione. Dopo “solo” 30 km lo staff perde il contatto con l’atleta: una vasta area del Chott nella quale Venturini si è addentrato presenta, sotto una lieve crosta di sale, un fondo vischioso e cedevole che rende il passo della corsa faticoso e dispersivo, l’accesso ai quod difficoltoso, il supporto dei fuoristrada proibitivo. Appuntamento all’estremità dell’oasi Nefta; ma Paolo non arriva, dopo più di due ore di mancato contatto si pensa di allertare la polizia locale, l’elicottero è pronto a decollare. Fine di un’avventura. No, non ancora: un militare lo avvista in lontananza, acqua spugnaggi gel. “20 km senz’acqua a queste temperature, neanche un cammello!”, è la battuta scherzosa dell’atleta. L’umore è ancora alto, i nervi sono saldi, la corsa prosegue, anche se il fisico è un po’ fiaccato. Rilievi, test medici e via, si riparte. Appuntamento alla carcassa di un pullman rimasta abbandonata nel mezzo del niente, al 72° km. Paolo ci arriva stanco, anche se i parametri medici risultano essere buoni; tra i vari, 187 sono i battiti cardiaci che, dopo uno sforzo tale, non sono davvero troppi. Ma un po’ di nausea, dovuta a un principio di disidratazione, e qualche dolore intercostale e ai piedi, dovuto al continuo adattamento a un terreno impervio, fanno decidere che quello è l’arrivo finale. Siamo comunque approdati all’altro lato del grande lago salato, lo scopo è stato raggiunto. “Ho calpestato almeno dieci tipi di fondo diverso, dal piatto-duro al cedevole-melmoso, tutti paesaggi incantevoli e ostili al tempo stesso”, queste le prime parole a caldo dell’atleta, ricco di una nuova grande esperienza che, non solo lui, si porterà per sempre nel cuore.

Silvana Lattanzio, da Chott el Jerid (Tunisia)

 

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