Il gioco che conviene ai cyborg

12 Giugno 2013 di Simone Basso

In una una domenica parigina di noia sartriana Rafa Nadal sbriga la pratica – un allenamento agonistico – opposto al buon David Ferrer e alza l’ottava coppa dei Moschettieri. Un epilogo così così per un’impresa storica; del resto, come ampiamente pronosticato, la finalissima stavolta era stata anticipata al venerdì. Vedendo nella pioggerella, l’umido, del dì dell’amichevole iberica, al contrario del caldo e del vento di due giorni prima, l’ennesimo segno del destino…

Il blockbuster Djokovic-Nadal quindi, partita manifesto, l’ennesima, della rivalità più accesa (o l’unica sulla piazza…) del robotennis contemporaneo. Vissuta sul filo delle emozioni forti o almeno, per chi non bada agli effetti speciali, il solito spettacolo – volgare quanto efficace – del gioco che più conviene a questi atleti cyborg. Eppure ci è parsa solamente la replica tre su cinque della sfida di Madrid 2009. Malgrado le condizioni fossero perfette per Nadal, si sono verificate esattamente le stesse dinamiche di quel pomeriggio di quattro anni fa. Il serbo più propositivo, con i piedi dentro il campo a comandare gli scambi, e lo spagnolo, un metro e mezzo dalla riga di fondo, formidabile nel trasformare (con un colpo in più) la difesa in attacco.

Il numero uno del mondo, a un passo dal Career Slam, ha perso due volte: all’incipit, quando ha lasciato scappare l’avversario alla sua velocità di crociera preferita, e sul traguardo, avanti di un break, nel momento in cui ha smarrito lo smash e la lucidità. Al netto di alcuni passanti di Rafargante, al quinto parziale, dopo quattro ore di lotta, possibili solo a lui, il net toccato da Novak su un banale appoggio odora di mistica manacorina e maledizione belgradese. Capiremo, soprattutto nel futuro prossimo, le scorie lasciate dal confronto nei due protagonisti.

Due settimane di Roland Garros che confermano – ahinoi – molte teorie di questo evo del tennis. Basti pensare alla scomparsa dell’ultima generazione dal tabellone dei quarti di finale: dal più giovane, il ventiseienne Djokovic, al più vecchio, il trentacinquenne Haas, un bel ritratto del sistema imperante. Per vendere meglio il prodotto, quei tre o quattro campioni, hanno omologato le superfici e imposto regole d’ingaggio fasulle; vigono conflitti d’interesse ovunque e i controlli antidoping sono una farsa, “un completo disastro” nell’opinione di Tomas Berdych. Anche Roger Federer, per una volta, ribadisce gli alisei sfavorevoli: ha la schiena in fiamme da Indian Wells, dal turno contro Dodig, e ci pare improbabile un recupero pieno verso Wimbledon. Per l’All England Club necessita comunque di tanti aiuti dalla sorte, un approccio benevolo (o una concatenazione di eventi) del sorteggio e delle condizioni ambientali.

Vento in poppa invece per la straripante Serena Williams; il suo bis, undici anni dopo il primo trionfo, suggella due assiomi della Wta 2013: l’americana – sedici major in carriera nel singolare – è ormai tra le grandissime ogni epoca, altresì il circuito femminile sta vivendo una crisi drammatica di talento. Proprio per le ragioni esposte sull’Atp – che le colleghe in gonnella duplicano in toto – non scommetteremmo che Belinda Bencic, la vincitrice nella categoria juniores, replicherà i suoi successi al piano di sopra. Però la diciassettenne di Flawil, di origini boeme al pari di Martina Hingis, ci sembra un prospetto molto interessante…

Alla ricerca del tempo perduto, pur avendo compreso che i Ricci Bitti di quel mondo se ne fregano e contano i dindi, eleggiamo l’incontro più bello di questi Internazionali di Francia. Alla faccia dei titoloni per lo scontro fra titani – Nole vs Rafa – scegliamo il duello elegante Gasquet-Wawrinka. Splendidi rovesci a una mano, un gioco vario (“fero e piuma”), con i protagonisti – alla quarta ora di contesa – stravolti dalla fatica…

Difatti per chiudere ci affidiamo alle parole di Adriano Panatta, che l’open francese lo vinse nel 1976, una risposta indiretta a chi blatera di una fantomatica Golden Age of Tennis: “…Non è più tennis. E’ rissa. Chi non fa wrestling è Federer, l’unico per cui accendo la tivù. I giocatori sono vittime innocenti: li allevano in batteria. Meccanici come robot…”.

(per gentile concessione dell’autore, pubblicato su Il Giornale del Popolo dell’11 Giugno 2013)

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