La pulizia di Schwazer

31 Gennaio 2013 di Stefano Olivari

L’autoflagellazione di Alex Schwazer alle Invasioni Barbariche, anche se sarà stato pagato da La Sette e nessuno lo aveva costretto ad andare, ci ha fatto malissimo e non abbiamo cambiato canale solo perché rimaniamo convinti che fino al 2010 (quindi bronzi mondiali e oro olimpico di Pechino inclusi) lui sia stato un atleta pulito e con un senso del dovere d’altri tempi. Lo stesso senso del dovere che gli sta facendo tenere una linea decisamente poco credibile. Commovente il racconto delle pressioni che si autoimponeva e triste quello del presente di studente senza entusiasmo, ma inconsistente invece quello della vicenda incriminata. In estrema sintesi ribaditi i concetti già espressi lo scorso agosto: l’idea è stata solo mia, non ne ho parlato nemmeno con la mia fidanzata (Carolina Kostner, per i tre che non leggono DiPiù dal parrucchiere), la federazione e il mio allenatore erano all’oscuro di tutto, ho comprato l’Epo da solo in contanti andando in Turchia e poi me la sono iniettata da solo pur senza avere alcuna esperienza in materia. Veniamo al punto: Schwazer vuole essere considerato l’unico responsabile dell’accaduto e non trascinare con sé altri, né allenatori né dirigenti. Forse per un distorto senso della lealtà, forse anche perché spera in uno sconto rispetto ai quattro anni di squalifica chiesti dal procuratore antidoping Torri. Ci è venuto in mente un incontro a cui abbiamo assistito la sera prima in una sala della regione Lombardia, con Sandro Donati che parlava del suo ‘Lo sport del doping’ e che, da allenatore (negli anni Ottanta ha guidato diversi mezzofondisti italiani, da Mei a Patrignani), sottolineava il fatto che nessun atleta, pur consapevole e colpevole, può gestire da solo anche un piccolo ciclo di doping. Impossbile barare con chi ti conosce da ‘pulito’, impossibile nascondere la verità a dirigenti che devono poi far passare certe assenze per piccoli intoppi nella preparazione, impossibile soprattutto ai giorni nostri avere la competenza medica e chimica per sottoporsi ai trattamenti nel modo più utile per migliorare le prestazioni. Alla fine il paradosso è che la pulizia morale di Schwazer non lo ha aiutato quando viaggiava senza doping, perché lo ha fatto crollare, ma non gli è stata utile nemmeno dopo quando avrebbe potuto limitare i danni. Una situazione ben diversa da quella di Armstrong e di tanti altri dopati, che hanno trattato e trattano la materia come un rischio del mestiere e non come un marchio di infamia. Schwazer ha invece una percezione diversa di cosa sia bene e cosa sia male, sapendo di essersi avvicinato al male.

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