Djokovic-Murray con racchette di legno

29 Gennaio 2013 di Stefano Olivari

Gli Australian Open, ma il discorso potrebbe essere allargato al tennis in generale, per motivi di orario sono stati seguiti bene in Europa soprattutto da chi non ha un vero lavoro. Noi in prima fila, ovviamente. E guardando le partite con un occhio anche a Twitter, nobilitato dai commenti frequentissimi e sempre interessanti di Ubaldo Scanagatta (‘Scannagatta’ per quelli di Ancellotti e Toto Cotugno), abbiamo notato che in molti appassionati sta montando una certa stanchezza nei confronti non solo del tennis medio, ma anche di quello delle punte. Troppo facile ma anche doveroso parlare della finale maschile fra Djokovic e Murray, giocata per due set e mezzo sul filo di un equilibrio clamoroso. Il solito videogioco di straordinaria qualità, un po’ come il nostro Grand Slam  Tennis 2 per la Playstation (in cui manovriamo, si fa per dire, Stefan Edberg), con partita vinta dall’atleta che ha avuto un giorno in più di riposo a causa della consueta strampalata programmazione delle semifinali. Non ci ricordiamo colpi al volo, se non qualche ‘battesimo’ a campo aperto, ma soprattutto non ci ricordiamo alcuna variazione tattica se non cambi di diagonale e di ritmo. Mentre ci ricordiamo benissimo la straordinaria partita di Wawrinka contro lo stesso Djokovic negli ottavi: con lo svizzero costretto a fare quattro volte il punto ad ogni… punto contro un Nole nell’occasione straordinario tergicristallo, non alla Wilander ma riuscendo quasi sempre a trasformare la fase difensiva in attacco. Non ci sono bei tempi da rimpiangere e nemmeno velocità da ridurre, perchè si è visto che agendo su palle e superfici aumenta sì la lunghezza degli scambi ma non necessariamente il divertimento. Si deve intervenire sulle racchette, che non sono qualcosa di sacro ma un attrezzo così come il giavellotto per un giavellottista o la mazza per un battitore. Atletica e baseball hanno agito, mentre il tennis accetta questa sua deriva nel nome di un vago ‘progresso’. Deriva apprezzata anche da molti addetti ai lavori, allenatori in testa, che ti spiegano che quello di oggi è un vero sport per veri atleti e che McEnroe con le racchette del 2013 non avrebbe fatto un game contro Seppi. Cosi come nel 1986 è stato cambiato il baricentro (portandolo ovviamente in avanti, per ridurre le misure) nel giavellotto usato dagli uomini e nel 1999 quello delle donne, e nel baseball le mazze di alluminio sono consentite solo in campionati giovanili e in leghe minori, non sarebbe un delitto nel tennis tornare alle racchette di legno. Non solo per una questione di velocità, ma anche per motivi di sweet spot: più piccola è l’area utile per colpire ‘bene’ (semplifichiamo) la palla, più sarà proporzionalmente alta la componente di abilità chiesta ad un campione. Alla fine dal doping, peraltro esistente nel giavellotto, nel baseball e anche nel tennis (non solo in Argentina), si esce creando regole che privilegino il gioco. Conclusione? La finale con le racchette di legno magari l’avrebbe vinta lo stesso Djokovic, che al di là dell’atletismo ha una mano strepitosa (la si nota soprattutto sulle palle corte, sia quando le fa lui che quando deve recuperarle), però offrendo uno spettacolo migliore.

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