Tragedia e furbizia e New York

5 Novembre 2012 di Stefano Olivari

La maratona annullata fuori tempo, il montepremi casalingo di Seul, la strana collaborazione di Alex Schwazer.

1. Dopo sciagure come quelle procurate dall’uragano Sandy è inevitabile che si combatta la solita battaglia fra due opposte e ottuse retoriche: quella dello spettacolo che deve andare avanti e quella del lutto perenne. Nessuna delle due spiega però perché la maratona di New York 2012 sia stata cancellata in questo modo, dopo che per tre giorni dopo l’uragano il sindaco Bloomberg aveva parlato di corsa della speranza e di una città che doveva trovare la forza di ripartire. Visto che la situazione delle devastazioni e soprattutto dell’assenza di servizi vitali (elettricità, acqua) in molte zone mercoledì era la stessa di venerdì, molti degli iscritti alla corsa hanno visto malafede in questo comportamento delle autorità e degli organizzatori. In pratica un ragionamento di questo tipo: è impossibile che quest’anno si corra la maratona, per motivi di opportunità ma soprattutto pratici (40mila persone sono di fatto senzatetto), però non buttiamo via tutto l’indotto che crea l’arrivo a New York per una settimana di centomila persone (fra atleti, più o meno amatoriali, e accompagnatori): stime che variano dai 300 ai 400 milioni di dollari. Nemmeno in un paese ad altissimo tasso di litigiosità giudiziaria come gli Stati Uniti (forse anche perché la giustizia è veloce) la ventilata class action contro New York (!) o gli organizzatori del N.Y. Road Runners Club avrebbe qualche possibilità di successo, visto che nel regolamento di iscrizione è segnalata chiaramente l’ipotesi di annullamento (senza rimborso), però questo annuncio ritardato è sembrato lo stesso una cosa sporca. Un effetto positivo però ce l’avrà, secondo molti amatori: quello di ridimensionare il mito di New York, intesa come maratona, ormai costosisssima festa dello ‘io c’ero’.

2. Si è corsa invece più modestamente la maratona di Seul, una Silver Label (cioè la serie B delle corse su strada targate IAAF, mentre New York è ovviamente una Gold Label) dove il 29enne James Kipsang Kwambai in un clima freddino ha vinto per la seconda volta di fila con il record della corsa (2:05:50) e lasciando ad oltre un chilometro e mezzo il secondo e terzo classificati, Chebor e Kiptoo (anche loro keniani, naturalmente). Per il vincitore 50mila dollari americani e 20mila di bonus per avere corso sotto le 2 ore e 6 minuti, cioé il muro dell’eccellenza (in altre parole, meno di 3 minuti al chilometro: dall’alto del nostro 4 e 30 prendiamo nota), per il secondo 30mila. Interessante che esistesse un montepremi (un quarto di quello ‘vero’) per soli atleti coreani, idea brutalmente da copiare se si vuole motivare qualche atleta di casa. Non che i soldi significhino risultati, in automatico (il primo dei coreani, oltre che dei non africani, Kim Joung-Jin è finito nono a quasi quattro chilometri…), ma è tanto per dare un po’ la sveglia ai campioni del paesello.

3. L’atletica, un po’ come il ciclismo, è condannata al vittimismo quando si parla di doping. Per una semplice ragione: nessuno scende in piazza per Alex Schwazer, nemmeno i suoi compaesani, mentre la più marcia delle squadre di calcio è in grado di minacciare la discesa in pizza di migliaia di dementi perché i gloriosi colori ‘meritano rispetto’. Schwazer invece questo rispetto non lo merita, sarà per questo che martedì scorso, dopo le quattro ore di interrogatorio presso la procura del CONI, si è rivolto ai giornalisti con amarezza: “Quando ho vinto a Pechino c’era un quinto di voi ad attendermi, questo dice tutto sullo sport italiano”. Del merito della vicenda si è parlato tante volte, aver presentato gli scontrini della farmacia turca non prova che Schwazer fosse il solo responsabile. Non è semplicemente possibile che l’uomo di punta dell’atletica italiana a poichi giorni dall’inizio dei Giochi non fosse controllato, almeno a distanza, dalla federazione. Ma perché Schwazer dà retta alla giustizia sportiva, accettando interrogatori e processi, quando la sua intenzione è quella di non marciare mai più nemmeno per dieci metri, al di là della squalifica? La risposta più sensata è che mostrandosi collaborativo cerchi di mettere in secondo piano la posizione della fidanzata Carolina Kostner: come minimo una campionessa di ingenuità. Magari ce ne sono altre, di risposte, speriamo per lui non il ritorno alla pratica di uno sport che odia.

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