L’ora di Mennea

29 Ottobre 2012 di Stefano Olivari

Franco Arese lascia la presidenza dela Fidal, a 68 anni e dopo 8 di grandi speranze e di pochi risultati. Fra questi pochi fa quasi male ricordare l’oro olimpico di Alex Schwazer nel 2008, per il modo in cui si è conclusa la sua parabola sportiva più che per le ombre (che del resto al momento non ci sono, visto che il doping del marciatore azzurro può essere circoscritto agli ultimi due anni) su quel risultato. Lascia ufficialmente per motivi di salute, Arese, praticamente per stanchezza e forse anche per una sensazione di impotenza: se nemmeno lui, ex grande atleta (campione europeo nei 1500 a Helsinki 1971), dirigente di successo (Asics) e persona seria, è riuscito ad invertire una tendenza negativa significa che forse non ce la può fare nessuno. Poi Arese ha colpe specifiche, prima fra tutte l’aver gestito male i nostri pochi atleti di vertice degli ultimi due quadrienni olimpici: da Howe alla Di Martino, da Gibilisco a Schwazer, nessuno ha reso quanto era nelle possibilità. Il declino dell’atletica italiana, con più di metà tesserati che appartengono al mondo master (quindi over 35) e con il vertice che sopravvive solo grazie alle società militari (quindi alle nostre tasse), ha cause che non dipendono da Arese: dal reclutamento nelle scuole, una volta popolate da insegnanti di educazione fisica fanatici di atletica, alla maggiore attrattiva (diciamolo) degli sport di squadra, passando per un’assenza di cultura che mette tutto sullo stesso piano. Per la sua successione (si vota il 2 dicembre) sono in corsa Alberto Morini e Alfio Giomi, in pratica il vice di Arese contro il vice della gestione precedente (Gola). Lo scenario ideale per l’entrata in scena dell’ennesimo uomo della provvidenza, come in fondo sembrava Arese nel 2004. Da Pietro Mennea a Eddy Ottoz, le suggestioni non mancano. Bisogna però trovare un’idea, la vera impresa sarebbe questa.

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