L’anno buono di Steve Nash

28 Settembre 2012 di Stefano Olivari

La curiosità per i nuovi Lakers sta salendo a livelli enormi, l’arrivo di Dwight Howard e soprattutto quello di Steve Nash, uniti all’età di Kobe Bryant e alla soprendente permanenza di Pau Gasol, significa che bisogna vincere qui e adesso. La bella notizia per Mike Brown è quella di esseresi liberato della negatività, sia pure con grandi statistiche e una considerazione secondo noi assurda da parte degli addetti ai lavori NBA (che però non a caso sono addetti ai lavori NBA, mentre noi vediamo tutto in televisione da casa nostra), di Andrew Bynum. Qualcuno ha paragonato Nash-Howard ai Karl Malone e Gary Payton dell’estate 2003, preludio di una stagione che finì con il titolo ai Pistons di Larry Brown e che ispirò il più divertente dei libri di Phil Jackson, The last season (che poi non sarebbe stata the last), ma c’è una differenza non da poco: Howard è un giocatore nel fiore degli anni e potrà essere la colonna dei Lakers del post-Kobe, Malone e Payton erano all’ultimo urrah. Come filosofia il paragone comunque ci sta perché sia Nash che Howard sono affamati di anello, anche se il canadese avrebbe potuto fare questa scelta ‘statistica’ qualche anno prima dei 38 attuali. Niente male gli altri arrivi: la guardia Jodie Meeks, il gregarione Jordan Hill ma soprattutto quell’Antawn Jamison che ha segnato di fatto la fine dell’era LeBron a Cleveland (nel senso che quando l’anello non è arrivato nemmeno con Jamison il Prescelto ha iniziato a guardarsi intorno). Incognite: la schiena di Howard, l’età di Nash, l’usura di Bryant, la voglia di Gasol di chiudere la carriera al Barcellona. Punti di forza: i Lakers tornano a giocare con un vero playmaker creativo dopo più di un decennio, erano i tempi di Nick Van Exel, con tutto il rispetto per la personalità e il tiro di Derek Fisher, ma soprattutto tolgono pressione a Kobe. In più hanno un quintetto base (non dimentichiamoci di Metta World Peace) di giocatori ognuno nel proprio giusto ruolo, tutte stelle in missione. Stelle pagate, ovviamente, perché i Buss hanno più che doppiato il salary cap tra ingaggi puri e luxury tax (siamo oltre i 120 milioni di dollari). Pressione ai livelli massimi per Mike Brown, grande coach della difesa che si ritrova una squadra con potenzialità offensive pazzesche. Rispetto all’attacco rintorcinato e kobizzato della scorsa stagione la palla dovrebbe muoversi di più, se Brown ascolterà le idee del neoassistente (da panchinaro campione proprio con i Lakers di Pat Riley, nel 1982) Eddie Jordan, tornato in pista dopo due anni di inattività e di fatto sostituto insieme all’esperto Bernie Bickerstaff di Ettore Messina e Quin Snyder, entrambi adesso al CSKA Mosca. Insomma, curiosità massima e una nostra modesta certezza: la vera finale di questi Lakers sarà con i Thunder a Ovest, poi contro gli eventuali Heat potrebbe essere più facile.

Twitter @StefanoOlivari

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