Quelli della legacy

12 Agosto 2012 di Stefano Olivari

L’overdose olimpica delle ultime due settimane, dal vivo e televisiva, ci ha davvero ricaricato. Avevamo dimenticato quanto fosse bello guardare qulacosa che ti interessa senza l’ossessione del doverne scrivere, spesso (per non dire sempre) senza avere qualcosa da dire in più rispetto a una persona mediamente informata. E adesso siamo pronti ad affrontare altri quattro anni di calcio per lavoro e soprattutto di Indiscreto per piacere. Siccome la nostra pausa ce la siamo già presa, evitiamo il solito bilancio aziendale (non c’è alcun progetto, se non quello di sopravvivere) e passiamo direttamente a quello olimpico a caldissimo, per poi magari scrivere nei prossimi giorni qualcosa di più meditato (niente di che, ovviamente).

1. Sui media non solo inglesi a trionfare è la parola ‘legacy’. Insomma, cosa resterà di questi Giochi a parte uno stadio della madonna per il West Ham? Forse, più che in edizioni precedenti dove la visione degli eventi era imposta dalla programmazione televisiva doverosamente nazionalistica, la certezza che molti sport considerati minori anche rispetto a quelli minori hanno un potenziale televisivo enorme. Per meccanismi di punteggio, personalizzazione delle rivalità, possibilità di scommettere, un fioretto o un taekwondo proposti in maniera non triste possono tranqullamente far fermare su un canale lo 0,5% del pubblico televisivo: uno share che quasi tutto il pattume partorito dal digitale terrestre si sogna. I canali di Sky e quelli della Bbc permettevano di seguire tutto, senza un grande fratello patriottico che ti imponesse qualcosa. La mitica legacy sarà quindi forse davvero un aumento della cultura sportiva, ma per motivi tecnologici.

2. Se il bilancio sportivo è solo quello del medagliere allora basta prendere il medagliere. Stati Uniti primi, Cina seconda, Gran Bretagna terza, Italia ottava, Spagna ventunesima, Tagikistan 79esimo. Ma se gli sport hanno tutti la stessa dignità, a maggior ragione ai Giochi, le medaglie invece si pesano. E negli sport che danno il senso alla manifestazione, cioé nuoto, atletica e sport di squadra, la supremazia americana è stata ancora più netta. Ci sono nazioni che intelligentemente programmano decine di medagliette, la Cina ma anche i padroni di casa non hanno scherzato, ed altri (come il nostro) che le medagliette le vincono senza cinismo. Ma sempre medagliette sono, rapportate ai due criteri sovrani per valutarle (importanza storica della disciplina ai Giochi e diffusione della disciplina stessa nel mondo), mettendole in prospettiva non si sminuisce il lavoro di nessuno. L’ottavo posto della Straneo e il decimo di Pertile nella maratona valgono quanto tutta la scherma.

3. Di solito chi per quattro anni ha poca visibilità in occasione dell’Olimpiade se la prende con il calcio e con i pochi altri sport che hanno un successo planetario e continuo di pubblico. A Londra 2012 sembra sia avvenuto il contrario. Il calcio ha avuto un buon successo come affluenza, ma poca visibilità presso il pubblico generalista e se il Brasile non fosse arrivato fino in fondo pur perdendo la finale avremmo fatto fatica anche a seguirne gli highlights. Nel basket abbiamo toccato con mano un contorno e contesto da NBA di stagione regolare, con tanto di dee jay animatore, balletti, ali di pollo bisunte mangiate durante le partite e clima di svacco. La pallavolo ha riscosso meno entusiasmo del beach volley, il tennis pur avendo a disposizione Wimbledon e tutti i più forti tranne Nadal si è giocato davanti a quattro gatti fino in pratica alle semifinali. Per non parlare dei vuoti in tribuna sparsi un po’ ovunque, anche nella ginnastica che è di solito fra le regine dei Giochi, con Coe a tirare fuori spiegazioni degne del Montezemolo di Italia Novanta e i militari in tribuna come nemmeno alle partite della Steaua Bucarest di trent’anni fa a mezzogiorno. In altre parole, gli sport che non vedono l’Olimpiade come massima loro espressione (la pallavolo non rientra in questo discorso, ma ha comunque un Mondiale che vale quasi, e sottolineiamo quasi,  come i Giochi) si sono sentiti a Londra come non mai degli intrusi. E non è un caso che la pallacanestro mediti una riforma in chiave Under 23, tipo calcio, che la renderebbe ancora più marginale.

4. Come al solito, fin da quando siamo ci siamo immersi in questa magia (Monaco 1972, con tanto di album Panini finito), a rimanerci dentro è soprattutto la malinconia per qualcosa di bello che è finito e non tornerà più. Però detestiamo gli spacciatori di tristezza, la vita va avanti e sta a noi parlare di sciabola anche senza la medaglia olimpica di Occhiuzzi, magari anche solo con Occhiuzzi impegnato in una prova di Coppa del Mondo. Se non ne siamo capaci (perché la verità è che non ne siamo capaci) è inutile poi prendersela con il calcio cattivo che fagocita tutto. A proposito, ma poi i top player sono arrivati o no?

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