Meglio Missy Franklin

1 Agosto 2012 di Stefano Olivari

Perché il nuoto piace piace più dell’atletica in quasi tutto il mondo che una volta (bei tempi), quando l’Unione Sovietica lavorava per noi, avremmo definito occidentale? Lo dicono quasi tutti i rilevamenti televisivi, a parità di importanza dell’evento e di presenza nazional-nazionalistica (perché è ovvio chesu Rai e Sky si parli più della Pellegrini che di Collio). Una interessante analisi sul tema è quella proposta dal Washington Post (non per tirarcela, è che il link a un articolo su Phelps ci ha portato lì) che Amy Shipley ha scritto qualche giorno fa. Nostra sintesi del pezzo: i campioni americani dell’atletica magari vincono tante medaglie ma non hanno le personalità di un Carl Lewis (infatti l’inversione di tendenza è iniziata a metà anni Novanta), in più il doping viene mediaticamente associato più all’atletica che al nuoto anche se magari in realtà tutte queste differenze non ci sono. Insomma, secondo questa visione politicamente corretta l’immagine dell’atletica non è buona e senza il campionissimo di casa lo spettatore generico apprezza maggiormente il nuoto. Nostra spiegazione da cattivi: l’atletica, nelle specialità più importanti, è ormai uno sport per afroamericani o direttamente per africani. Tutto bene, se non fosse che il pubblico pagante (con la mediazione dei diritti televisivi) è al 99% bianco e anche quando non è dichiaratamente razzista trova più carina e interessante, per puri motivi di identificazione, Missy Franklin rispetto a Sanya Richards. Fra l’altro è curioso come anche negli Stati Uniti il nuoto sia sport da bianchi, visto che il suo motore è la NCAA esattamente come per l’atletica e che il professionismo sia marginale ed esista solo ad altissimi livelli. E’ una di quelle divisioni, come quella fra i praticanti di pallacanestro e pallavolo, che non hanno altre spiegazioni se non quella di una sorta di auto-selezione.

Stefano Olivari, 1 luglio 2012

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