Le figurine di Agnelli

13 Luglio 2012 di Libeccio

Il presidente della Juventus Andrea Agnelli ha dichiarato che non riconosce il sistema di conteggio della Federazione Italiana Calcio e che in ragione di tale nuova e cervellotica posizione, ha ritenuto di non apporre alcuna stella sulla maglia della Juventus fresca vincitrice del Campionato italiano di calcio. E come se alla fine di una partita qualcuno che ha perso 3 a 1 dicesse: “Siccome il mio gol vale 4, ho vinto con un gol di scarto”.  Prima aveva deciso di scrivere sulle maglie (neanche fosse una recita di fine anno) “30 sul campo”. Si vede che è abituato a fare un po’ come gli pare, il rampollo Agnelli. Del resto le vecchie abitudini di famiglia sono ben difficili da cambiare. Un altro che fa un po’ come gli pare è Sergio Marchionne che di fronte ad una sentenza di un Tribunale italiano che reintegrava al lavoro un certo numero di operai ha sostanzialmente detto: e chi se ne frega.

In realtà l’uscita “estiva” di Andrea Agnelli è sembrata a tutti quella che effettivamente è: una frenata improvvisa ai proclami molto arroganti sulle tre stelle e al fatto che per mesi la gran assa della comunicazione Juve abbia suonato proprio questo genere di musica. Deve essersi reso conto (Agnelli) che si stava mettendo in una brutta situazione dalla quale difficilmente poi sarebbe uscito e quindi ha pensato bene di cambiare completamente strategia attraverso una ritirata abbastanza rabberciata. Se non vinco non gioco ed anche se non posso mettere il numero di stelle che meglio mi aggrada preferisco non mettere nulla, è la sintesi che si può trarre dalla vicenda.

Del resto il giovane (per gli standard italiani) Agnelli non è nuovo a certe magre figure che tentavano di ribaltare la situazione di Calciopoli a vantaggio della Juventus da lui considerata (e come poteva essere altrimenti) l’unica vittima, l’agnello sacrificale, il vaso di coccio tra quelli di ferro, l’unica società al mondo sulla quale una torbida macchinazione aveva giocato ai fini di una cancellazione della società dal calcio che conta grazie ad una velenosa trappola organizzata dai poteri forti del calcio italiano. Una barzelletta insomma, che però in parte è stata accreditata dai giornali amici, dalle tv collaterali, da opinionisti che probabilmente tengono famiglia come la tenevano ai tempi di Moggi. E le famiglie, si sa, con il crescere aumentano anche i bisogni.

La Juventus ha chiesto alla FIGC ben 443.725.200 euro per i danni ingiustamente patiti a “seguito dell’illecita condotta tenuta” tesa a penalizzarla, favorendo altre squadre (l’Inter). La Juventus ha chiesto anche il commissariamento della Federazione. Sul tema nei giorni scorsi è circolata una indiscrezione rilanciata dal settimanale L’Espresso – secondo la quale la Corte dei conti del Lazio depositerà a breve l’atto di conclusione dell’inchiesta che non si esprime proprio nel senso auspicato dal Presidente Juventus: la Figc non può essere ritenuta responsabile proprio di nulla e  di qualsivoglia danno erariale per la decisione assunta il 18 luglio 2011 quando, affermando la sua incompetenza a decidere sulla richiesta della Juventus di revocare all’Inter lo scudetto del 2006, aveva di fatto dichiarato la sua non titolarità sul tema. La Juve aveva chiesto di verificare se, a causa della sua azione, o meglio in questo caso della sua omissione, la Figc, che agiva per conto della pubblica amministrazione in quanto inserita in un suo apparato organizzativo come il Coni, fosse derivato un danno allo Stato. Da quanto asserisce l’Espresso, pare proprio di no. E’ da dire che la sentenza non è ancora stata emessa, quindi aspettiamo fiduciosi (non sappiamo in cosa, però).

La Juventus si era anche rivolta all’Uefa per verificare se i comportamenti tenuti dalla Figc fra il 2006 e il 2011 fossero conformi ai principi dell’Uefa stessa e se la Federazione non avesse peccato di inerzia nell’indagare; e di conseguenza di verificare se fosse il caso di escludere dalla Champions League l’Inter, che nella relazione di Palazzi era stata accusata di aver violato l’art. 6 del CGS, quello relativo all’illecito sportivo. Su questo punto il Disciplinary Board dell’Uefa  aveva chiesto alla Figc chiarimenti in merito alle azioni intraprese. L’esito della questione si è tradotto nella archiviazione dell’esposto della Juventus per non sussistenza e non competenza dell’Uefa. In più il Tribunale dell’Unione europea, con ordinanza nella causa T- 273/09, aveva già rigettato un ricorso presentato dall’associazione “Giulemanidallajuve” che contestava le sanzioni imposte alla Juventus nel 2006.

Per contrastare queste sanzioni, l’associazione “Giulemanidallajuve” (crediamo esista veramente, non è uno scherzo) aveva presentato una denuncia alla Commissione europea, ottenendone però nel 2009 un respingimento per mancanza di interesse legittimo da parte dell’associazione e per insussistenza di un interesse comunitario sufficiente per proseguire con ulteriori indagini. Secondo la Commissione, infatti, l’associazione non rappresenta gli interessi della Juventus, non agisce in nome di quest’ultima e non è riuscita a dimostrare una lesione degli interessi economici dei suoi membri. Le infrazioni allegate non sono inoltre tali da incidere sul commercio intracomunitario e sul funzionamento del mercato unico. Contro questa bocciatura, l’associazione aveva presentato ricorso al Tribunale Ue, che però ha confermato su tutta la linea la posizione della Commissione respingendo il ricorso.

Insomma, sconfitte una dopo l’altra sanciscono la donchisciottesca battaglia di Andrea Agnelli per cancellare la vergogna di calciopoli e le provate malefatte della Società che rappresenta. Dopo lo scudetto si era anche spinto a far montare un trenta gigante sopra l’ingresso della sede sociale a Torino. Ma anche qui alla fine ha fatto marcia indietro anche se con doppio avvitamento carpiato. L’aspetto paradossale della vicenda è che la Juventus di Andrea Agnelli ha vinto sul campo e che soprattutto ha buone possibilità di continuare a farlo nei prossimi anni. L’ultima figura, anzi figurina viste la pochezza delle argomentazioni, dell’erede Fiat (o di quel che ne rimane) è proprio questa: screditare un sistema in cui sta vincendo e i cui dirigenti fanno a gara nel non rispondere alle sue provocazioni.

Libeccio, 13 luglio 2012

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