Il fallimento del denaro

6 Luglio 2012 di Fabrizio Provera

Sull'orlo del baratro

Dal momento che in un dato territorio esiste una sola moneta, le differenze di livello di vita tra le regioni che lo compongono diventano presto insopportabili, e in caso di crisi economica la disoccupazione si impone come unica variabile di aggiustamento. Il progetto di moneta unica in Europa significherebbe, ad esempio, che un paese come la Grecia non potrebbe aggiustare la sua moneta in rapporto a quella di altri, andando spedita verso una pericolosa bancarotta finanziaria“.

Questa analisi risale al 5 maggio 1992, è stata pronunciata all’Assemblea Nazionale francese da Philippe Seguin ed è influenzata dal pensiero di un eterodosso economista premio Nobel per l’economia nel 1988, Maurice Allais. Paiono davvero profetiche, e se ascoltate ci avrebbero forse risparmiato tanti mal di spread, ma dalle parti delle sedi bancarie e dei centri di potere ormai slegati dal consenso del popolo (dove si decidono le sorti della finanza e dei popoli stessi, che ovviamente non hanno alcun potere di influenza su simili decisioni, anche perché ormai diamo piena legittimità a governi senza mandato elettorale) hanno fatto orecchie da mercante. In tutti i sensi…

Tuttavia sono una piccola perla per i lettori di Indiscreto, perché nessun grande giornale recensirà il libro di cui vi vogliamo parlare, ossia l’ultimo saggio di Alain De Benoist, “Sull’orlo del baratro. Il fallimento annunciato del denaro”, Arianna Editrice, 9 euro e 80 molto ben spesi. Qualche parola su De Benoist, che è bene precisare non essere un economista: è un pensatore francese cui la pubblicistica fa risalire agli anni Settanta l’invenzione della Nuova Destra, movimento che in Italia venne ripreso da un gruppo coraggioso di pensatori presto fuoriusciti dall’allora Msi, in primis il fiorentino Marco Tarchi, oggi apprezzato docente di Dottrina della Politica e negli anni Settanta leader del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile missina che elesse a suo segretario il candidato arrivato in realtà settimo nelle votazioni (Tarchi prese molti più voti). Quel candidato scelto per la leadership giovanile, dopo una lunga parabola politica da liquidatore di partiti, è oggi il presidente di Fli, partito passato dal 9% dei sondaggi (settembre 2010) al 2,1% di oggi, ed è balzato alle cronache quando il cognato è stato ripreso mentre puliva una roboante Ferrari all’autolavaggio automatico. I destini della Destra italiana sono sempre stati colmi di sventure.

 De Benoist ha lottato per anni al fine di creare una Destra (culturale, pre politica) senza complessi, capace di influenzare la società e di imporre i temi dell’agenda politica e culturale: per questa ragione si parlò di ‘gramscismo di destra’, ossia del tentativo di influenzare l’opinione pubblica con idee nuove. In questo libro, che non è un saggio economico ma casomai di filosofia economica, De Benoist (ormai divenuto battitore libero e senza etichette) ne ha per tutti: la prefazione affidata al solito Massimo Fini ne è la prova.

E’ la concezione stessa dominante del denaro a essere oggetto dei pesanti, ma spesso sorprendentemente lucidi, rilievi dell’autore. “La destra è diventata da molto tempo la serva del denaro. La sinistra istituzionale, con il pretesto del realismo, ha clamorosamente aderito all’economia di mercato. Ciò nonostante il denaro perirà attraverso il denaro, ossia attraverso iperinflazione ed indebitamento eccessivo”, si legge nel primo capitolo. Il libro abbonda di cifre e numeri, ricorda come l’addio del sistema di Bretton Woods, della convertibilità del dollaro in oro, la creazione della Federal Reserve americana (entità sostanzialmente privata, ma che detiene il potere di regolare la vita di ciascuno) e la filosofia del libero scambio eretta a sistema siano i prodromi della crisi di oggi.

Ancora Maurice Allais, sul finire degli anni Ottanta: “Una liberalizzazione totale degli scambi e dei movimenti di denaro è possibile solo in un quadro di insiemi regionali raggruppanti paesi omogenei, aventi sviluppo economico comparabile. La liberalizzazione mondiale è irrealizzabile, dannosa e non augurabile”. Però…

Gli affezionati lettori dell’Ezra Pound dei Cantos ritroveranno in questo libro molti argomenti utilizzati nell’invettiva del poeta americano contro l’usurocrazia, “con usura nessuno ha una solida casa/ con usura, peccato contro natura, nessuno trova residenza amena”, e contro quello che è ormai passato alla storia come il più grande passaggio di ricchezza dal settore pubblico al settore privato, ossia alle banche: 5000 miliardi di dollari tra 2008 e 2010, con l’indebitamento del settore pubblico francese passato in dodici mesi- sempre nel 2010- da 116 a 163 miliardi di euro. Peccato che nel 2009, in piena crisi, la totalità degli attivi delle sei principali banche americane (Bank of America, Jp Morgan, Citigroup, Wells Fargo, Goldman Sachs e Morgan Stanley) abbia rappresentato il 60% del prodotto nazionale lordo, mentre nel 1995 rappresentava neppure il 20% del Pnl…

Certo, la crisi odierna nasce molto lontano: De Benoist, molto attento alle questioni francesi, ci ricorda che nel 1973 Valery Giscard d’Estaing, ministro delle Finanze, approva una legge che impedisce alla Banca di Francia di accordare allo Stato dei prestiti: quindi quest’ultimo era obbligato a prendere denaro a prestito dai mercati. Altro che lady Spread.. Curiosamente (ma non troppo), questa norma sarà incorporata all’articolo 104 del trattato di Maastricht 19 anni dopo, ossia nel 1992.

Ma esistono soluzioni, secondo De Benoist? Paiono difficili, a questo punto: “in caso di speculazione su un bene collettivo, come la moneta, la soluzione consiste nel ricentrare l’Europa su se stessa, con una rafforzata cooperazione intorno a un nocciolo duro”. Tuttavia appare difficile agire in tal modo dopodichè non si è ascoltata l’amara profezia del suddetto deputato francese Seguin, che sempre nel 1992 disse una cosa tanto elementare che a noi è parsa comprensibile persino a uno studente del primo biennio della fu Ragioneria, che oggi si chiama Itc, Iis o con qualche altro diabolico quanto incomprensibile acronimo: “Nessuna unione monetaria o fiscale è mai potuta sopravvivere in assenza di una unione politica. Realizzare un governo economico prima e in assenza di un governo politico sarebbe un’aberrazione”. Ma dico: dalle parti della Sorbona, di Friburgo o della Bocconi queste cose non le insegnano?

Nei capitoli restanti, De Benoist si occupa di smontare certi pregiudizi buonisti della communis opinio odierna (l’immigrazione salvezza dell’economia? In Francia i costi sociali degli immigrati superano del 30% il totale dell’attivo che la loro partecipazione alla vita sociale comporta: ma non si possono dire certe cose, anche se non si vota per il Fronte Nazionale della famiglia Le Pen). Una possibile soluzione, accennata da De Benoist sul finale, è quella di istituire un reddito di cittadinanza: si tratta di un’idea peraltro avanzata già diverse volte dalla sinistra radicale in molti paesi europei, su cui personalmente nutriamo più di un dubbio, ma che l’autore sostiene da un punto di vista più ideale che economico. Si esce piuttosto scossi dalla lettura di Sull’orlo del baratro; d’altro canto, tuttavia, non è che passando al Sole 24 Ore si passi dal pessimismo più cupo all’ottimismo più entusiasta. Consigliamo la lettura del saggio, che si adatta a persone di ogni provenienza politico-culturale e di qualsiasi orientamento.

Fabrizio Provera, 6 luglio 2012

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