L’euro come Zoff

21 Giugno 2012 di Stefano Olivari

Come sulla Nazionale, sulla Rai o sul Festival di Sanremo, sul’attuale governo chiunque dice le peggiori cose con la certezza di non pagare dazio. Anzi, c’è la certezza che qualsiasi critica possa tradursi al più tardi nel 2013 in un guadagno elettorale. Anche chi politicamente lo sostiene, cioè quasi tutti i partiti, perchè non avrebbe il coraggio di fare nemmeno mezza riforma senza inimicarsi categorie pesanti (quindi non certo i tassisti, le erboristerie, gli edicolanti), sindacati o gente che svolge lavori inutili, in ordine sparso butta lì una cazzata al giorno inseguendo l’ultimo sondaggio. Alla millesima scattiamo e ci viene voglia di scrivere qualcosa, tanto è gratis e nella peggiore delle ipotesi non sarà letta.  Il Silvio Berlusconi che parla di possibile uscita dell’Italia dall’euro (“Non sarebbe una bestemmia”) e di svalutazione competitiva ci sembra ridicolo come il Berlusconi che attaccò Zoff per non avere fatto marcare più duramente Zidane (che, parentesi, giocò una delle peggiori partite importanti della sua vita) nella finale degli Europei 2000, quando c’era ancora la lira. Al bar dicono che l’euro, non i farabutti che hanno raddoppiato il prezzo di tutto, ci ha rovinato? E noi picchiamo contro l’euro, anche se ben sappiamo (perlomeno, Berlusconi lo sa di sicuro) che senza euro saremmo rovinati. Su Indiscreto c’è già chi ha spiegato, bene, cosa succederebbe in caso di uscita dell’Italia dalla moneta unica. Di nostro aggiungiamo che il discorso di Berlusconi era più articolato del titolo-slogan che voleva trasmettere al popolo bue, interessante quando in maniera peraltro non inedita mette in relazione l’inflazione a due cifre degli anni Ottanta con la crescita economica di quel periodo.Al di là delle cifre buttate lì un po’ alla cazzo, contando sulla poca memoria degli italiani (vero che dal 1973 al 1984 l’inflazione fu superiore al 10%, con punte di oltre il 21 nel 1981, peccato che per trovare una bilancia dei pagamenti in attivo bisogna arrivare a metà anni Novanta). Con amici bancari, non banchieri, facciamo spesso il bar dell’economia e noi con la Budweiser (purtroppo in Italia non si trova la Coors, se non tramite un sito tedesco) in mano sosteniamo che la lira svalutata come sostegno alle esportazioni italiane sia uno schema scolastico, che non può prescindere dal fatto che il resto del mondo sia diverso da come era negli anni Ottanta e che qualsiasi prodotto senza un contenuto significativo di innovazione o marchio sia oggi replicabile a minor costo senza bisogno di citare la Cina (basta vedere cosa sta accadendo in Polonia e Romania) assorbendo l’effetto svalutazione (che comunque potrebbe essere combattuta con una contro-svalutazione, e via avvitandosi fino ad arrivare alle banconote di Weimar). Forse buona parte dell’elettorato del Pdl, almeno quella che non ha trasformato i suoi risparmi in franchi o in dollari, non ha ben chiaro che ritorno alla lira e svalutazione significherebbero pronti-via svalutazione anche dei propri più o meno modesti risparmi. In attesa che la ristrutturazione di banche importanti butti sul mercato l’impossibile e faccia quindi scoppiare la bolla immobiliare, nel qual caso chi credeva di possedere 100 si ritroverà con 50. Conclusione? L’euro è antipatico, l’Europa è un concetto da tromboni e una unione di realtà senza un vissuto comune, ma il ritorno alla lira ci impoverirebbe a livelli che forse non riusciamo a immaginare. Roba che la Lidl ci sembrerà Fauchon.

Stefano Olivari. 21 giugno 2012

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