Il posto fisso dell’atletica

19 Giugno 2012 di Stefano Olivari

Gli europei dell’atletica fanno le comparse in Mondiali e Olimpiadi? E noi ci inventiamo gli Europei biennali invece che quadriennali, che settimana prossima a Helsinki vedranno la loro prima edizione. Considerando passaporti tarocchi e naturalizzazioni facili, sarebbe stato però culturalmente più onesto organizzare una manifestazione aperta solo ad atleti di razza caucasica (traduzione: bianchi). Inutile dire che ci cascheremo dentro, interessandoci anche ai 61 azzurri convocati. Scorrendo la lista della Fidal, salta all’occhio la presenza di soli 11 atleti di club privati: fra gli uomini Valentini (400 e 4per400), Scapini (800), Haidane (1500), Cerrone Obrubansky (5000), Dal Molin (110 ostacoli), fra le donne Amidei (100 e 4per100), Bonfanti (4 per 400), Caravelli (110 ostacoli), Gentili (400 ostacoli), Apostolico (disco) e Giordano Bruno (asta).  Come dire: l’83% dei convocati di Francesco Uguagliati fa parte di corpi militari, anche con il trucco del doppio tesseramento (che in alcuni casi permette di correre con un club, pur percependo un stipendio statale), ma lo scandalo non è questo. L’atletica, tolta la corsa su strada, non ha un ‘mercato’ in grado di sostenerla come del resto quasi tutti gli sport. Vive di assistenzialismo e nella migliore delle ipotesi di mecenatismo, come quasi tutto il cinema, il teatro, i musei, la musica classica, eccetera. Tutte arti vecchie, notiamo con dolore, che grazie al ricatto emotivo della cultura raccattano soldi pubblici e donazioni private, con i ‘biglietti’ che coprono solo una minima parte dei costi. Al netto della demagogia, senza sostegni extramercato scomparirebbe il 90% del mondo che ci circonda (anche la coltivazione del grano, per dire). Lo scandalo, dicevamo, non è che a Helsinki ci siano professionisti dell’atletica pagati con le nostre tasse, ma che esistanto centinaia di atleti di Stato, come nella rimpianta (da chi viveva in Occidente) URSS, che non sono stati in grado di qualificarsi per questi ‘europeini’ dai minimi non proprio selettivi. Centinaia di ragazzi, a volte non più tanto ragazzi, pagati per una mediocre attività italiana e senza ambizioni diverse da quella del posto fisso.

Stefano Olivari, 19 giugno 2012

 

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