L’ultimo capolavoro di Recalcati

27 Maggio 2012 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dal Borgoverde di Preganziol guardando i vetri con effetto pioggia che isolano il  mondo dalla cucina straordinaria della Baracca dove siamo stati precettati dal furore del Claudio Pea, giornalista con talento non lo scrittore, non l’allenatore del Sassuolo, non avvocato come quasi tutti in famiglia, cornuto e mazziato prima dai giudici per una causa con ultras offesi sul sito, poca roba, ma che rabbia, e poi a Roma per una finale di coppa Italia dove non è riuscito a vedere la Juventus, la sua Juventus imbattuta, perdere contro il Napoli. Ci sfoghiamo sul baccalà mantecato, sui pesciolini che segnaliamo a Vacirca, ascoltiamo, siamo in zingarata con il capo dell’ultima legione, non riusciamo davvero a capire perché nella vita di tutti noi s’infilano, molto, troppo spesso, cialtroni millantatori che poi ti fanno star male.

Sarà per questo che alla sera, nel Palaverde  di casa Reyer dove la tribuna Benetton era desolatamente vuota, tanto per farci abiutuare al futuro anche se la ricerca di Coldebella e Pittis sembra andare benissimo, il nostro Claudio infuriato se la prendeva con tutti facendo sobbalzare il Suardi che cura l’informazione Olimpia e il Limardi che da Superbasket abbandonato da tutti noi, Lega, compratori, passa alla comunicazione secondo il verbo di Livio Proli che insiste vantandosi di aver rifondato l’Olimpia lasciata in macerie dai predecessori, pur sapendo che il Corbelli e l’Iggino Natali, anche se separati alla fine,  stavano sulla spiaggia con un quinto del budget del rifondatore di una società che  aveva il suo Talmud ben custodito fra via Caltanissetta e il Palalido che diventerà arena dei re, ma non il campo dedicato a Cesare Rubini che era la storia a cui poteva ispirarsi l’uomo da cui ora prenderemo lezioni per la rifondazione di una Lega che non gli piace, di un basket che non si vende, di un mondo che per lui cambierà perché a comandare il gioco è Ciro Scariolo diventato grande in Iberia più che fra l’italica gente.

Siamo alla prima smazzata pesante dell’anno. Quattro fuori e quattro nella giostra che porta allo scudetto per una finale annunciata in estate, tutti dicevano Siena contro Milano, poi, vedendole giocare, tutti hanno detto Siena-Cantù, poi, dopo aver capito che a  Pesaro e Sassari il sale di mare aveva creato nuove sirene, ci siamo fermati tutti e adesso vi diciamo che sembra scritta la finale del primo giorno perché  i grandi generali delle armate più costose ammetteranno che avere dieci giocatori da mandare in campo nelle sfide così ravvicinate è un vantaggio che va al di là dei meriti tecnici perché, lasciatecelo dire, ci sembra davvero più capolavoro quello che ha fatto Sacchetti allenatore dell’anno che non è nel cuore dei ragazzi della lavagna e delle statistiche come dimostra la previsione per un Bologna Sassari da chiudere 3-1, ci sembra più straordinario quello che  Viperigno Dalmonte ha fatto con questa Pesaro che ha dovuto e deve ancora sopportare tanto il fuoco amico, con il Daniel Hackett che è diventato capo branco, capociurma, rinunciando al gusto di attraversare ad occhi chiusi il vialone centrale come capitava  a certi americani prima che Valter Scavolini si stancasse di essere soltanto spettatore diventando il demiurgo, il vero uomo della provvidenza a cui non si dovrà mai rinunciare.

VARESE 6.5 alla stagione tecnica, 7 a quella societaria. Non poteva farcela contro Siena, anche contro questo Montepaschi costruito male, con troppi giocatori che hanno smesso di avere fame, ma pur sempre la società numero uno e con un condottiero che  meritava premi soprattutto nella stagione balorda che ha vissuto. Recalcati il saggio ha fatto un altro capolavoro e dispiace che per la nuova Varese sia considerato l’ultimo. Certo le cose possono cambiare, ma attenti a pensionare chi ha dentro ancora qualcosa come vi direbbero quelli dell’Olympiakos dopo aver visto Dusan Ivkovic fare quello che avrebbe potuto realizzare anche un Peterson meno tremebondo e meno  abbagliato dalle luci dei ragazzi della nuova Hollywood cestistica che ieri piangevano per il colpo disperato, ma vincente dei Boston che saranno mangiati dalla loro Miami città infernale da cui scappano tutti.

VENEZIA 7 alla squadra e 8 alla società. Grande stagione vissuta in uno strano esilio. Informazione sempre ricca, iniziative sempre interessanti, squadra con uomini contati ma capace di arrivare al cuore delle partite quando la cadenza permetteva recuperi che i play off non concedono.

BOLOGNA 6 alla squadra che era rimasta senza capo e senza coda dopo l’allontanamento del pugile e  la resa del maestro diventato re a Siena. Società 6.5 perché si è comportata da Virtus proteggendo il tecnico, per il pubblico che ha portato al campo, non certo per le soluzioni medicina. Per Finelli un 7 pieno come del resto a Mazzon. Certo non puoi andare lontano se al secondo cambio sei costretto ai rifugiarti fra i prigionieri di una grandezza mai dimostrata perché Vitali sarà anche cambiato, ma fino a quando la sua idea della difesa resta quella del piumino più che quella delle chippette appoggiate sui talloni allora non gli crederemo e quello, parliamo della difesa, si allena se hai voglia di sacrificarti, se non vivi nell’illusione che un buon tiro da casa loro possa farti diventare idolo delle folle. Magari capita se giochi dove bastano 4-5 partite buone all’anno, non a Milano, non a Roma e, ancora prima, non a Siena e o in Nazionale.

CANTU 8 alla squadra per una stagione stupenda in Eurolega, per la fatica fatta in emergenza. 9 alla società per la scommessa vinta a Desio, schiaffo per un amministrazione canturina che al basket non ha dedicato neppure un minuto della sua attenzione. 6 al Custer Trinchieri che è partito da 8, poi si è illuminato di immenso come capita a chi crede all’onnipotenza dell’ironia sfuocata, poi ha cercato l’isolamento da tutto, salvo da chi  paga davvero, poi si è confuso, pentito e quando ha bruciato Cinciarini per puntare su Perkins ha avuto la sfortuna di non poter utilizzare il ragno per quello che sapeva e poteva fare: grande pressione difensiva, solo sponda per l’attacco. Nell’emergenza la vocazione di troppa gente, di quelli che ti dicono spesso “Ho vinto tanto, hanno perso troppo”.

Oscar Eleni, 27 maggio 2012

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