Il mito del default islandese

18 Maggio 2012 di Indiscreto

Due righe su quanto accaduto in Islanda, argomento che ha animato la discussione non solo su Indiscreto, senza con questo voler dare alcun giudizio di merito. Riassunto della vulgata corrente: L’Islanda ha ripudiato il debito, ha mandato al diavolo l’FMI e grazie a questo la cittadinanza non ha patito sofferenze eccessive. Niente austerity niente impoverimento, anzi sta ripartendo alla grande.

Vediamo un po’ come è andata, in concreto. L’Islanda non ha fatto alcun default sul proprio debito pubblico, con il referendum dell’ aprile 2011 ha rifiutato di accollarsi i debiti di Icesave verso l’estero. Parliamo di 4 miliardi di sterline per la filiale britannica e di 1,7 miliardi di euro per quella olandese. Il sistema bancario Islandese collassa nel settembre 2008. Insieme ad esso collassa la corona che si svaluta più del 35% (in realtà è un meccanismo di feedback). Si ha un arresto improvviso dell’afflusso di capitali (era il 50% di PIL). Per far fronte a ciò, L’Islanda chiede assistenza proprio all’FMI che eroga una linea di credito condizionata a precise azioni di politica economica, tra le quali una feroce austerità. L’FMI eroga 1.5 miliardi di euro,  circa il 15% del PIL islandese! Il programma termina ad agosto 2011, come da accordi. Quindi non è vero che il prestito FMI è stato bloccato a seguito del referendum e non è vero che hanno mandato al diavolo l’FMI.

Quali sono gli effetti di tutto ciò? Prima di tutto una mega-inflazione. 20% nel 2009. Oggi siamo al 6.4% e per ottenere questo la banca centrale islandese ha dovuto praticare alti tassi che hanno contribuito a strozzare l’economia. In secondo luogo un crollo del PIL. Tra il 2009 e il 2010 il PIL islandese diminuisce dell’11%. Grazie all’export, che beneficia della svalutazione, nel 2011 il PIL sale del 3%. Poi collasso del bilancio pubblico: il crollo del PIL e dell’ afflusso di capitali esteri determina un crollo della raccolta fiscale. Per compensare ciò il governo alza le tasse e taglia le spese, cioè servizi per i cittadini. Malgrado ciò il debito continua ad aumentare (eufemismo, visto che è passato dal 30% del PIL nel 2007 al 100% del PIL nel 2011).

Il dato più significativo però è questo: il numero di nuclei familiari che hanno difficoltà o grossa difficoltà a far fronte agli impegni di spesa. Nel 2007 sono il 28.5% del totale, nel 2008 il 30.1%. Passano al 39% nel 2009 , al 48.7 nel 2010 , e al 51.6 nel 2011! Come detto non do giudizi di merito, non mi interessa. Mi interessa presentare i fatti accaduti con un po’ di numeri, affinché quando qualcuno propone di seguire la strada percorsa dall’Islanda (ma noi dovremmo ripudiare un debito pubblico, non privato), si sappia quali sono gli effetti. Tra l’altro questo è avvenuto in un piccolo stato non sistemico. Magari all’Argentina è andata meglio, del resto lei il default l’ha fatto veramente. Se avrò il tempo, e se a Stefano fa piacere, magari prossimamente butto giù due righe pure sui nostri cugini d’oltreoceano. Ps: i dati provengono da eurostat e dall’omologo ente islandese.

Intervento di Spike, 18 maggio 2012

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