Marina Suma al Pianella

16 Marzo 2012 di Fabrizio Provera

di Fabrizio Provera
Cantù-Roma traslata ad oggi significa Bennet-Acea, anticipo televisivo del sabato del campionato di basket, ma rimane una gara segnata dal sapore unico e inconfondibile dell’amarcord. Quindi, per noi di Indiscreto, un evento da sviscerare con lo strumento del cazzeggio. Cantù-Roma ci riporta infatti all’età dell’oro della pallacanestro italiana, diciamo pure al triennio 1981-1984: quello in cui il basket azzurro, con i successi della Nazionale e delle squadre di club, sale ripetutamente sul tetto d’Europa, inanellando una sequenza di vittorie impressionante e forse irripetibile. Che perciò, vista con gli occhi di oggi, appare ancor più eclatante.
Cantù alza per due volte consecutive la Coppa dei Campioni, nel 1982 e nel 1983. Nel 1983 gli azzurri di Sandro Gamba sconfiggono la Spagna di Corbalan e San Epifanio per 105-96, diventando per la prima volta campioni d’Europa. Nel 1983 il Bancoroma di Larry Wright, il folletto nativo della Louisiana, porta la squadra capitolina allo scudetto; assieme a lui giocatori simbolo della storia cestistica romana, da Enrico Gilardi a Roberto Castellano, da Fulvio Polesello a Clarence Kea, da Stefano Sbarra a Marco Solfrini. In panchina, a filosofeggiare in quella che per secoli era stata capitale dell’Impero, il Vate Valerio Bianchini (chi altri?), che richiesto di un parere sulla ragione delle sue tante vittorie dell’epoca rispose a tono: ‘In hoc signo vinces’. In due anni, tra il 1983 e il 1984, la Virtus conquista scudetto, coppa dei Campioni e coppa Intercontinentale.Trent’anni dopo, mentre la Bennet è tornata a riassaporare l’atmosfera delle grandi sfide europee, dopo un lungo periodo di sofferente espiazione, Roma si dibatte tra l’addio di Claudio Toti e le dinamiche di una stagione altalenante. Ma a noi importa maggiormente il sapore tutto felliniano dell’amarcord, di quella voce dialettale romagnola che letteralmente significa “mi ricordo”, ma che per tutti i non romagnoli è sinonimo di ricordo carico di nostalgia, di rievocazione nostalgica del passato, di riflessione sul “come eravamo”, dentro ma anche fuori il campo di basket. Erano tempi ben diversi, da Vitelloni (in senso cestistico, ma non solo); anni costellati da tanti momenti di Dolce Vita (idem come sopra). Un rimpianto nostalgico identico a quello di Jerry Calà in Sapore di Mare, non foss’altro per lo sguardo che incrocia gli occhi struggenti di Marina Suma sulle note di Nostalgia, mentre il suo amore di un’estate lontana si congeda dalla Capannina, in una Forte dei Marmi sempre così splendidamente uguale a se stessa.
Noi volgeremo lo sguardo al soffitto del vecchio Pianella e per colpa-merito dei ricordi delle coppe Campioni di quegli anni, della maglia di Pierluigi Marzorati e di quella di Chicco Ravaglia, vivremo l’ennesimo momento di amarcord cestistico. Ognuno ha la sua Marina Suma.

Fabrizio B. Provera, 16 marzo 2012

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