L’ultimo allenamento di Alì

17 Gennaio 2012 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni
La contea di Rondo, i filmati di Scariolo, le strategie di La Sette, il marketing della Lega, la formula di Bianchini, le festa di Biella, il pubblico non da Auditel e i voti del girone di andata.

Oscar Eleni da Louisville, contea di Jefferson, Kentucky, per il compleanno di Cassius Clay-Muhammad Alì. Anche qui, come a Niguarda, ci lasciano fuori. A Milano perché non volevamo cadere nel patetico abbraccio del Brunetto in guerra con la fastidiosa prostata, anche se siamo davvero stupiti per non aver sentito pronunciare il cognome di Arrigoni dai maestri inventori della pentitissima La7 che non sarà mai tanto delusa quanto noi da loro. Nella città di Luigi, invece, non avevamo i 1.000 dollari per partecipare alla festa del settantesimo, ma era bello restare anche fuori ad urlare. Lo facemmo già alle Olimpiadi di Atlanta quando il più grande accese il fuoco, la speranza, in giorni dove aveva ancora senso dire ‘Ho un sogno’. All’aria aperta cercando le orme di Vittorio Maturi, in arte Victor Mature, Sinuhe l’egiziano, nato a Luoisville, nel coro ascoltando il cinguettio di Tera Wray, attrice porno, altra eletta della contea come il Rajon Rondo che ha fatto gioire tanto, ma anche imprecare molto i suoi tifosi a Boston. Alì che telefona una volta alla settimana, sfidando il Parkinson, al suo ex allenatore, il novantenne Angelo Dundee per chiedergli se la palestra è libera per un allenamento impossibile. Come siamo distanti da questa penisola delle banane dove si naufraga per un niente.
Non chiedeteci più nulla sull’Emporio Armani. Datevi voi una risposta guardando certe facce, ascoltando i dopo partita di don Sergio Scariolo che sono davvero inquietanti, ma spiegano bene perché i suoi allenamenti sono blindati: una squadra del genere andrebbe presa a legnate dal primo secondo nella secondaria, altro che tecnologia, filmati, quelli scelti dai maghi del mercato rionale, partendo dai giovani, di cui si vanta la società, dovrebbero andare in palestra anche tre volte al giorno, non una per sentirsi trattati come meritano. Certo avere paura della ribellione, temere che i giocatori si offendano se li chiami codardi, se li sfidi, se li inviti a pensare al lavoro così ben pagato, è già un segno di debolezza. Il vuoto intorno alla squadra è poi lo stesso che i giocatori hanno nell’anima perché per riscaldare un ambiente serve il fuoco vero della passione. Certo se mandi via tutti quelli che la passione l’avevano sul serio poi resti con gli altri, magari eccellenti professionisti, ma, come ben sanno ad Honolulu, sono persone che non legano, non lo fanno per amore, ma soltanto per piacere a Dio e all’Armani. Sappiamo bene chi sono questi dei, chi fa il caffè alla Laurenti, chi fa le battute, chi può ridere, chi può giudicare. Connessioni interne minime. Ma ci vuole tempo anche se persino uno ben disposto come il Sandro Gamba che scrive su Repubblica sembra sfinito: “Esperimenti? Siamo a metà campionato”.
Già. Siamo alla boa, speriamo che nessuno voglia portare la barca vicino alle rocce per farla vedere bene a quelli de “La7” che ci avevano già convinto poco alla presentazione del campionato quando il capetto dello sport non vedeva l’ora, con i funzionarietti in gita, di salire sulla limousine per correre all’aeroporto di Bologna. Insomma sembra proprio che il basket non faccia ascolti anche se lo presenti in chiaro, lo hanno sballottato negli orari perché non trainava abbastanza per il telegiornale, adesso lo bocciano sulla rete ammiraglia per spostarlo sulla Sette digitale. Nessuno si preoccupa perché i legaioli sono contenti di loro stessi, dello stutus quo che va mantenuto sempre se il tesoro è in mano a pochi.
In Lega hanno persino rimesso in moto la commissione marketing, dando molta fiducia a chi, magari, non trova neppure uno sponsor per la sua squadra. Ma non importa. Intanto il Petrucci ha mandato sulle rocce la federazione di Meneghin che ora sembra attirare la voglia presidenziale di altri personaggi che hanno fatto storia del nostro basket e che sarebbero certo più presentabili di qualsiasi uomo garantito dai comitati regionali. Recalcati sembra non fare caso ai 30 euro della diaria giornaliera, anche se nella sua vita professionale non ha mai trascurato, giustamente, il risvolto economico, ma forse in lui prevale la voglia di vendetta che ancora lo anima quando parla di questa federazione e del suo non proprio amico Meneghin.
Bianchini che insiste con la formula salvifica del campionato che dovrebbe far crescere il livello tecnico dei giovani, cancellando tutto, dalla A2 che considera terra d’infedeltà, ai veterani che pure vanno in palestra sempre più volentieri dei ragazzini, pensa di convincerci a parole, come ha fatto sempre, senza spiegare come si guadagna un decimo, un centesimo, giocando contro i pari livello, senza mai alzare l’asticella. Va bene, lui ha le sue idee e, a quanto sembra, sarebbe disposto, per il bene della patria cestistica che gli ha dato gloria e tanti quattrini, a sacrificarsi per fare il presidente federale se davvero Petrucci non troverà una scappatoia per riprendersi l’amato baloncesto da gestire prima con il commissario Petrosino, ex arbitro, poi con il suo mondo fatto al Muro Torto.
Vomitino entra in scena e non ascolta più nessuno. Il campionato è agitato da venti strani, chi era moribondo, come Teramo, ha trovato la luce, chi ha chiamato il popolo di Biella a fare davvero qualcosa per la società, è stato accontentato nella più classica delle feste sacrificali e l’Olimpia si è abituata ad essere la giovenca triste che si fa volentieri sgozzare su qualsiasi campo, anche il suo da dove è uscita fra i fischi nella settimana dell’orrore, quella dei tre turni senza vittorie dopo averne raccattate due per benevolenza di Avellino, Roma e, sicuramente, anche di arbitri mandati per indorare adesso la pillola che diventerà amara quando si farà sul serio perché la gestione del settore non è certo nella pianura delle idee stordita da musica demenziale e da servi sciocchi.
Girone d’ andata che glorifica gli allenatori che hanno sofferto davvero: dall’elettrino Dalmonte che Pesaro voleva mettere sul moscone per la Croazia, al Finelli che ha battuto ogni tipo di pregiudizio e si è messo al centro dell’uragano uscendone bello come il sole che ora sembra spingere la sua Virtus nel cuore di un popolo di 8.000 persone fisse sulle tribune, popolo che non viene registrato all’auditel, come tanti altri. Certo la Canadian diverte quando gioca, tutta impeto ed assalto, ma il problema nasce in difesa se a presidio del vallo metti gente nota per non aver mai abbassato il culetto sui talloni come si faceva una volta nel basket campagnolo.
Voti alla metà del mondo basket come lo abbiamo trovato dopo 16 giornate, nel campionato nato male, nato dispari, un torneo che sembra più equlibrato soltanto perché Siena vuole che sia così.  SIENA 6.5: Ha fatto il massimo nella sofferenza di una stagione impegnativa affrontata senza tutti gli uomini che dovevano esserci. Colpa della crisi, ma Pianigiani ha dovuto aguzzare l’ingegno e gli ha fatto bene. Sono sempre i numeri uno, ma non solitari come per 5 anni.
PESARO 6.5: Una bella partenza, tanta, troppa euforia e quindi il calo degli zuccheri, delle motivazioni, poi la nuova sterzata, ma quando senti parlare certa gente, anche fra i giocatori, ti viene sempre il dubbio che sia sempre vicina la tempesta.
CANTU’ 6.5: Non c’è più la genuinità degli anni delle vere battaglie, ma c’è la nuova co
nsapevolezza trovata in Eurolega e con l’inserimento del Brunner ridens è sicuramente l’avversaria più dura per i campioni in carica.
MILANO 4: Tre partite da ricordare, Maccabi, Siena a Milano e spareggio col Partizan. Per il resto sotto il vestito niente perché i manichini non hanno vita salvo che nei film comici americani.
BOLOGNA 7: Rifare una squadra perdendo l’asse portante, reggere l’onda anomala Bryant, il fuoco sempre acceso nella creatività sabatiniana, non deve essere stato facile. Ma guai illudersi anche perché i tre americani in squadra non sapremmo davvero come mischiarli per farne uno vero.
AVELLINO 8: capolavoro Vitucci da mostrare agli scettici sul valore dell’anima nelle squadre, sull’importanza dell’allenatore che non tiene al buio i giocatori in sala visione per far vedere i nemici in mutande.
VENEZIA 7.5: La volevano al rogo, poi hanno accettato la presenza sperando nella consunzione, ma quelli prima hanno fatto una squadra vera, poi hanno scelto un’arena giusta e, alla fine, dopo aver letto bene certe facce da mona che pontificavano hanno cominciato a godersi il banchetto fra le migliori.
SASSARI 6: Sì, è un passaggio storico l’entrata nelle finali di coppa Italia, ma non sappiamo quanto gradito da giocatori sempre in infermeria. Poi quella faccia sempre smorta in trasferta. Insomma ci aspettavamo di più del Meo che in carriera non aveva mai regalato niente a nessuno.
VARESE 6: Altra bella gioia da trasferta che a casa sua sembra molto diversa. Ora cambiano il baby americano, ma la cosa più importanate è la salute fisica degli uomini chiave e se Rannikko zoppica allora tutto si fa più difficile.
BIELLA 6: Una partenza alla grande, con bocche subito troppo larghe, poi la crisi e la super rimonta nel giorno degli affetti contro Milano. L’Atripaldi che ha sofferto in curva la partita della rinascita merita un premio, soprattutto perché il suo vicino in tribuna, un bel quintale d’uomo appassionato, poteva diventare una minaccia se le cose fossero andate sempre come quell’inizio da 9-30 che sembrava condanna se davanti ci fosse stata una squadra vera e non una congrega mariana che ha bisogno anche del preparatore mentale.
CASERTA 6: Di più impossibile chiedere in ristrettezze economiche. Certo la crisi finale è preoccupante.
TREVISO 6.5: Il voto è per Djordjevic e qualcuno dei suoi giovani, per il resto nebbia all’orizzontre, fuoco in casa, gas tossici nel serbatoio dopo la “fuga” degli americani.
ROMA 5: Non è certo colpa di Lardo se siamo sempre allo stesso punto con questa principessa sul pisello che non potrà mai essere salvata se vedrà nemici lontano da dove sono veramente accampati.
MONTEGRANARO 5.5: Qualche sussulto dopo aver cambiato regime, dando un valore vero alla difesa. Ma la strada è sempre difficile, soprattutto se la crisi depaupera la rosa.
TERAMO 6: La pensavamo già spacciata, ma quel Ramagli è uno da scoglio, sa come graffiare, come arrivare al cuore del problema tecnico ed umano. Bravo.
CREMONA 5: Troppo nervosismo nella fase costruttiva, troppa fretta in quella di assestamento, ora soltanto l’artiglio di Caja può salvarla davvero.
CASALE MONFERRATO 6: Chiedere di più sarebbe ingiusto, certo la salvezza sembra davvero difficile da trovare perché le pari grado hanno aggiunto chili.

Oscar Eleni, 16 gennaio 2012

Share this article