Ci vuole un fisico bestiale (ma vale per tutti)

15 Maggio 2011 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Il nuovo Djokovic, che di veramente nuovo rispetto a sei mesi fa ha qualche chilo in meno, una preparazione fisica e una cattiveria agonistica che fanno impressione, va al di là dei record di imbattibilità: le sue 37 vittorie consecutive valgono già più di delle 46 di Guillermo Vilas (con tutto il rispetto per i tornei di South Orange, Columbus e Louisville), ma non è questo il punto.
Il punto è che la terra battuta di Madrid e Roma lo ha proiettato in una dimensione che è quella, per tipo di gioco e piattezza dei colpi così lontana dai top spin che sulla terra usa anche Federer (lui come alleggerimento, la massa come unica opzione), di un Ivan Lendl del terzo millennio: il diritto lungolinea come marchio di fabbrica, la coscienza di essere il prossimo numero uno Atp la sua benzina principale, il terzo set della semifinale del Foro Italico con Murray come ora di gioco che fra qualche anno riguarderà per rendersi conto di quanto grande sia stato. Va detto che il Nadal di Roma era fisicamente uno straccio, fra febbre e altri problemi, diversamente non sarebbe stato a due punti dalla sconfitta con un eroico Lorenzi. Poi di pilota automatico ha travolto sue vittime designate come Feliciano Lopez e Gasquet e si è presentato in forma un po’ così contro un avversario che in questo momento lo sovrasta fisicamente. Inutile adombrare sospetti, in uno sport dove il doping sembra prerogativa solo di qualche argentino ingenuo: le cento volte in cui Nadal si è presentato in campo fresco come una rosa, a poche ore da battaglie incredibili, lo sconsigliano. Certo è che Djokovic in versione Superman è per Nadal imbattibile anche tecnicamente: difende bene gli angoli come il Federer di qualche anno fa, ma più dello svizzero ha la capacità di giocare, insieme ai colpi vincenti, quel tennis ‘percentuale’ che spiega gran parte degli albi d’oro sulla terra. Detto questo, il Nadal romano ha mostrato una volta di più di sapere rimanere attaccato alle partite anche quando le cose si mettono male, con un’umiltà da giocatore della domenica: la quantità di pallette lente a mezza altezza nel secondo set, per spezzare il ritmo del serbo, erano figlie dei più puri dettami del ‘make him play’ di Harry Hopman oltre che di una sottile disperazione. Quello che psicologicamente Nadal è per Federer, Djokovic lo è per Nadal: in 27 scontri diretti nel tennis vero sono infatti ben 11 le vittorie di Djokovic, che rispetto allo spagnolo è più giovane solo di un anno e che è l’unico a poterlo battere entrando nei suoi schemi (con il pim pum pam possono farcela anche pochissimi altri). Insomma, nessun ricambio generazionale e nessuna sorpresa: solo un campione che sta salendo e un altro che è rimasto al suo livello e che al Roland Garros sarà ancora quello da battere.
stefano@indiscreto.it
(in esclusiva per Indiscreto)

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