Si fa presto a dire Guivarc’h

19 Ottobre 2009 di Alec Cordolcini

di Alec Cordolcini

1. Un recente sondaggio lanciato dal quotidiano inglese Daily Mail ha eletto il francese Stephane Guivarc’h peggior attaccante di sempre della Premier League, ovvero il campionato inglese dalla stagione 92-93 in poi. Campione del mondo con la Francia nel 1998, Guivarc’h era stato acquistato dal Newcastle, dove la sua avventura si incanalò ben presto nel poco emozionante tunnel che porta dalla panchina e tribuna, senza ritorno. Il diretto interessato, oggi allenatore di una squadra amatoriale bretone, non l’ha presa bene. “I sondaggi non mi interessano, ciò che dice quel giornale ancora meno. Giocai solo quattro partite, due da titolare, e segnai una rete al Liverpool. La gente ricorda solo ciò che le fa comodo. Ero arrivato in Inghilterra grazie a Kenny Dalglish, che però venne esonerato dopo due partite. Lo sostituì Ruud Gullit, un turista più che un allenatore. Si faceva vedere solo due volte alla settimana, il resto del tempo lo trascorreva in Olanda con la sua donna”. Guivarc’h può comunque consolarsi; ricca è la galleria di flop made in Premier League. Il sondaggio del Daily Mail ci fornisce l’occasione per ripescare un articolo comparso qualche tempo fa sul tristemente defunto Mister Football. Benvenuti nel Premier League Horror Show.
2. La panoramica sull’universo bidonaro inglese non può che iniziare dal simbolo dei disastri che la sentenza Bosman ha causato alle finanze dei club, ovvero Winston Bogarde. Per lui parlano i numeri: al Chelsea il difensore olandese guadagnava all’incirca 40mila sterline alla settimana, e se si considera che in quattro anni di Blues ha disputato solo dodici partite in prima squadra, risulta che il club di Stamford Bridge lo ha pagato 693mila sterline a partita, rimpinguandogli il conto in banca di ben 8 milioni di sterline in totale. Un’autentica gabbia dorata che Bogarde si rifiutò di lasciare anche quando il nuovo patron del Chelsea, Roman Abramovich, non gli assegnò il numero di maglia. Preferì la tribuna, le risatine di scherno alle spalle, i week-end spesi a Londra modello turista per caso, fino a quando arrivò la scadenza del contratto e lui se ne tornò in Olanda e pubblicò l’autobiografia “Questo negro non si piega davanti a nessuno”. Nemmeno al denaro?
3. Rimanendo in tema di olandesi, West Ham e Sheffield Wednesday ricordano ancora con parecchi brividi Marco Boogers e Wim Jonk. “Mad” Marco sbarcò ad Upton Park dopo anni di gol e gavetta in Eredivisie per spaccare il mondo, e invece alla seconda presenza distrusse solamente Gary Neville con un tackle a piedi uniti da codice penale. Poco dopo sparì dalla circolazione; lo ritrovarono nascosto in un parcheggio di roulotte in Olanda. Disse che non sopportava lo stress della vita a Londra. L’ex interista Jonk arrivò invece a Sheffield per prendere in mano le redini del centrocampo degli Owls. Lo fece con la stesse grinta di un budino molle, e al termine della seconda stagione la squadra retrocesse. La dirigenza lo difese: “Ha un tocco di palla vellutato e un gran cervello tattico”. Peccato che il calcio sia uno sport che contempli anche la corsa. Intelligente però lo era di sicuro; il suo contratto conteneva una clausola che prevedeva il pagamento di 5mila sterline per ogni partita persa per infortunio. Ne saltò quasi la metà.
4. Ai Mondiali del ‘98 esplose la stella di Michael Owen. “Non sono meno veloce di lui”, dichiarò il sudafricano Sean Dundee appena sbarcato ad Anfield per affiancare in attacco proprio Wonder Boy. Referenze? Tre reti nel Karlsruhe fresco di retrocessione dalla Bundesliga, un campanello d’allarme che l’allora manager dei Reds Roy Evans ignorò. Poi gli bastarono tre partite per scaricarlo. Ad una velocità, quella sì, supersonica. Resistette invece molto di più John “Faxe” Jensen, centrocampista campione d’Europa con la Danimarca nel 1992 prelevato (irregolarmente, si sarebbe scoperto poi) dall’Arsenal di George Graham. Quattro stagioni con i Gunners (con 138 caps) e lo stesso numero di gol segnati all’Europeo, ovvero uno. Il lieto evento accadde il 31 dicembre 1994 contro il QPR; il giorno successivo ad Higbury e dintorni comparvero magliette dedicate al miracolo. C’era scritto “I saw John Jensen score”. Se però credere in un campione d’Europa può avere conseguenze negative, puntare su un campione del mondo può rivelarsi addirittura nefasto. Già detto di Guivarc’h, costato al Newcastle 3.5 milioni di sterline, non va dimenticato il brasiliano Kleberson, per il quale Alex Ferguson ne spese addirittura 6.
5. All’Old Trafford però si è visto anche di peggio. Bruciante è stato il fallimento di Juan Sebastian Veron, due stagioni (più un’appendice al Chelsea) a vagare senza meta nel centrocampo dello United, perso in un’incompatibilità pressoché totale con compagni, allenatore e ambiente. Sembrava che sopra l’Inghilterra gravitasse un buco nero capace di prosciugargli fino all’ultima stilla di talento, per restituirglielo una volta varcati i confini e uscito dal paese. Una sindrome, quella del buco nero, che ha colpito Andriy Shevchenko così come in passato si è accanita sul suo gemello del gol ai tempi della Dinamo Kyiv, Sergei Rebrov, transitato senza colpo ferire in quel di Londra (sponda Tottenham Hotspurs e West Ham), e sui capocannonieri di Euro 2000 Patrick Kluivert, più a suo agio sulle piste da ballo della capitale piuttosto che sull’erba del St. James’ Park di Newcastle, e Savo Milosevic, a cui erano bastate poche partite per venir ribattezzato dai tifosi dell’Aston Villa “Miss-a-lot-evic” (gioco di parole tra “miss”, sbagliare, e “a lot”, molto). In casa dei Villains peggio riuscì però a fare Bosko Balaban, 5.8 milioni di sterline regalati alla Dinamo Zagabria per meno di dieci presenze a rendimento zero (gol, ovviamente) in due anni.
6. Capitolo Italians: se i vari Zola, Di Canio, Vialli e Di Matteo hanno sventolato con successo il tricolore in terra inglese, lo stesso non si può dire per Michele Padovano (Crystal Palace), Corrado Grabbi (Blackburn), Massimo Taibi (Manchester United) e Andrea Silenzi (Nottingham Forest). Taibi, portiere di più che buone qualità, raggiunse il punto più basso della sua carriera proprio quando pensò di essere arrivato al top. A Manchester soffriva di tremarella, difficile altrimenti spiegare come fu possibile farsi passare sotto le gambe il placido pallone calciato da Matthew Le Tissier che quasi fece fatica, tanto era lento, a finire in rete. Quel pomeriggio del 25 settembre 99 all’Old Trafford il Southampton lo costrinse raccogliere tre palloni in fondo al sacco. Otto giorni più tardi ne arrivarono altri cinque, gentile omaggio del Chelsea, ed a fine partita per Taibi era già pronto un biglietto aereo di sola andata per l’Italia. Un simile foglio di via lo ricevette anche Silenzi dal Nottingham Forest: legnoso e grezzo come nemmeno un attaccante dell’ex Fourth Division, in sei mesi aveva gonfiato la rete solo dell’Oxford in FA Cup e del Bradford nella Coppa di Lega. Prestato al Venezia, quando si rifiutò di tornare in Inghilterra il Forest non fece una piega e gli liquidò all’ista
nte i rimanenti due anni di contratto. A Nottingham e dintorni non si segnalò alcun tentativo di suicidio.
7. Storie da raccontare ne rimangono tante: Tomas Brolin finito a fare il venditore di aspirapolveri a Stoccolma dopo essere stato scaricato per adipe eccessiva da Leeds e Crystal Palace; Florin Raducioiu licenziato dal West Ham per aver preferito un giro defaticante tra i negozi di Londra alla routine dell’allenamento quotidiano; la gioventù bruciata di Hugo Viana (Newcastle) e Helder Postiga (Tottenham Hotspurs), per la serie non tutti i portoghesi possono essere Cristiano Ronaldo; la velocità “fermo immagine” di Igor Stepanovs (Arsenal) e Mauricio Pellegrino (Liverpool), scheletri nell’armadio rispettivamente di Arsène Wenger e Rafa Benitez. Lo spazio rimanente lo merita però il principe dei flop made in Premiership, il Bidone (maiuscola d’obbligo) per eccellenza, mister Ali Dia from Senegal. Lo ingaggiò Graeme Souness per il suo Southampton nella stagione 95-96 dopo aver ricevuto una telefonata da George Weah, nella quale l’allora giocatore del Milan caldeggiava vivamente l’acquisto di questo suo cugino 30enne che aveva giocato nel Paris Saint-Germain collezionando anche 13 presenze nella nazionale senegalese. Era tutto falso, telefonata compresa, che si scoprì essere stata fatta dal procuratore di Dia. Il buon Ali, ruolo attaccante, almeno nelle intenzioni, scese in campo per la prima e unica volta il 21 novembre 1996 in un match contro il Leeds. Sostituì Le Tissier dopo una mezz’ora di gioco e rimase in campo 53 minuti, sufficienti per permettere a centinaia di testimoni oculari presenti sugli spalti di affermare che quello sia stato il peggior giocatore mai visto su un terreno di gioco di Sua Maestà, talmente scarso da non poter ambire nemmeno a una squadra di non-league. Ci provò lo stesso tentando con i dilettanti dell’Fc Gateshead, ma venne messo alla porta dopo poche settimane e sparì nel nulla. Ali Dia, il Luis Silvio d’Albione. Si può fallire in Premier League anche quando si è campioni, ma è più facile quando non lo si è.
wovenhand@libero.it
(in esclusiva per Indiscreto)
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