I luoghi segreti di Maria

14 Aprile 2008 di Stefano Olivari


E’ una delle donne più famose del mondo, Maria Sharapova: per il numero di partite che guardiamo a tutti noi sembra di conoscerla come una vecchia amica. Chiunque conosce le sue vittorie (tre tornei dello Slam, partendo da quel fantastico Wimbledon 2004, oltre a tutto il resto: ma nelle prossime puntate ne parleremo fino allo sfinimento), in moltissimi leggono gossip di quarta mano sul suo conto, in molti la considerano una maestra di stile e di eleganza, se non proprio di vita. Inutile essere ipocriti: l’ammirazione per la donna si mescola a quella per una tennista straordinaria, arrivata al numero uno della classifica WTA nonostante un talento inferiore alle altre campionesse di vertice. Ammirazione sia maschile, per motivi evidenti, che femminile: Maria è antipatica a molte avversarie, ma di solito non a spettatrici che nella sua grandezza riescono ad intravedere le crepe di una fragilità quasi sempre tenuta sotto controllo. Proveremo modestamente, da ammiratori della primissima ora, a raccontare la sua storia. Che parte da lontano, lontano anche rispetto alla Mosca che a tanti tennisti ha dato i natali, precisamente a Nyagan. Città della Kanthia-Mansia, regione situata in mezzo all’allora Unione Sovietica (Maria è nata il 19 aprile 1987, con Gorbaciov ancora al potere), in quella che si può definire anche Siberia Occidentale. Maria è comunque russa, perché di etnia russa sono i suoi genitori: Yuri (proprio l’incappucciato che incombe sul campo di gioco, ben noto a tutti gli spettatori del tennis) e la invisibile Yelena. Sempre citata e ringraziata dalla figlia, mai realmente vista in pubblico: una specie di moglie del tenente Colombo in salsa russa. Nel 1986, dopo il disastro nucleare di Chernobyl, Yuri e Yelena decisero di lasciare Gomel, la più grande città della Bielorussia dopo Minsk, per raggiungere prorio Nyagan, dove viveva il padre di Yelena, che quando intraprese quel viaggio-fuga dalla radioattività era già incinta della sua unica figlia. Gomel fu uno dei posti che subì le conseguenze peggiori della tragedia, poche famiglie ebbero la fortuna di avere un’alternativa. Come ogni padre fanatico che si rispetti (o che non si rispetti, se vogliamo), Yuri fece iniziare a 4 anni l’attività tennistica alla piccola Maria, che fin da subito mostrò doti agonistiche, ancora prima che tennistiche, di assoluta eccezione. Due anni dopo un memorabile viaggio a Mosca, per una specie di esibizione di giovani talenti: lì l’incontro fatale con Martina Navratilova, al di là della mitologia rimasto per la verità più nella mente di Maria che di Martina. Nel 1996 la grande decisione di trasferirsi in Florida, per il salto di qualità tennistico e di vita: decisione di Yuri, condivisa da Yelena che però rimase a casa per problemi in parte di permesso di soggiorno ma soprattutto finanziari. Per due anni la bambina Maria Sharapova non vide sua madre, un periodo che è rimasto dentro di lei con un buco nero e che spiega molto anche del suo complesso rapporto con il padre. Senza addentrarci troppo in psicanalisi da treno, un padre in parte visto come unico punto di riferimento della vita concreta e tennistica, in parte come quello che l’ha staccata dalla madre. Comunque sia, la base di Maria era così forte che almeno in superficie sembra avere superato tutto. Non solo: come ambasciatrice dell’Onu ha fatto tantissimo per i famosi bambini di Chernobyl, che gravi problemi se li sono portati anche nell’età adulta, ed in generale per l’infanzia abbandonata o disagiata della Bielorussia. Con incontri semipubblici, ma anche privati e donazioni quasi sempre senza fotografi a riprendere la firma dell’assegno. Maria non ha dimenticato una patria mai realmente conosciuta, mentre con la Siberia il rapporto è, come dire, più freddo. Nel profondo della sua memoria e del suo cuore c’è una slitta con scritto ‘Rosebud’, ma al contrario del protagonista di ‘Quarto potere’ la sua infanzia rubata non si è trasformata in sete di grandezza. Per un semplice motivo: lei è già grande. (1-continua)

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